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  • Immagine del redattoreAlessandro Manno

25 aprile 2023: e siamo ancora qua!



“Uno dei problemi maggiori dell’Italia è quello di non aver fatto i conti con il proprio passato”. Ce la ripetiamo spesso questa frase, in modo quasi assolutorio come a dirci che in fondo siamo fatti così: navigatori, poeti, artisti e studenti a cui non piace studiare la storia.


Perché ogni anno al 25 aprile siamo ancora fermi al palo, ancora a frugare negli archivi del Quirinale per scoprire se davvero l’antifascismo sia scritto o no nella nostra Costituzione (spoiler, c’è scritto), a controllare se davvero la Resistenza ha avuto un ruolo nella liberazione dell’Italia dall’occupazione nazista e dal giogo del fascismo, a ripeterci che forse sarebbe meglio trovare una festa che risulti meno divisiva.


Ma la Festa della Liberazione come può essere divisiva? Come può un italiano, che sia esso conservatore o progressista, di destra, di sinistra, di centro, sentirsi respinto da un giorno in cui si ricorda la fine di vent’anni di dittatura? Come si può pensare che due italiani, magari con idee diverse sul piano politico, ma entrambi nati e cresciuti nelle istituzioni democratiche, non si riconoscano entrambi nei valori di democrazia che la Liberazione incarna di per sé?


Nonostante siano passati quasi 80 anni da quel 25 aprile 1945 c’è ancora chi non riesce a guardarsi allo specchio e vedere riflessi i volti di quegli uomini e di quelle donne che hanno speso la loro vita per combattere qualcosa che ritenevano profondamente sbagliato.

Perché il fascismo è stato quanto di più profondamente sbagliato sia stato realizzato in Italia dalla sua nascita come nazione sino ad oggi. È stato un enorme crimine. Perché il fascismo, quello sì, era divisivo: divideva chi poteva parlare da chi non poteva, divideva chi era di una razza pura da chi era di una razza considerata impura, divideva i genitori dai figli, divideva amicizie, divideva famiglie intere dalle loro città natali mandandole al confino o a morte nei campi di sterminio, divideva chi poteva vivere tranquillamente la propria vita da chi doveva viverla nascosto per paura di essere arrestato o ucciso.

Il fascismo ha diviso il Paese nella sua anima più profonda con l’idea totalmente sbagliata di poterlo unire eliminando le differenze, non considerando la bellezza della pluralità.


E nel 2023 ha ancora senso ricordare quel 25 aprile del 1945 proprio per guardare negli occhi quegli anni terribili, quelle divisioni che hanno distrutto la nostra nazione, ora finalmente e, si spera, per sempre democratica, e non rifare mai più gli errori che ci hanno portato a quei momenti.


Non si può continuare a vedere questo giorno come respingente per presunte antipatie verso una determinata parte politica. È come non andare a una grande festa di compleanno perché ci sta antipatico uno degli invitati.

E ciò avviene esclusivamente perché non si vuole studiare la storia. Perché in caso contrario si scoprirebbe che il 25 aprile è stato scelto come giorno in cui ricordare la liberazione da un governo, quello guidato da Alcide De Gasperi, che aveva al suo interno tutte le anime politiche della rinata Italia democratica: dalla Democrazia Cristiana al Partito Comunista, dai socialisti agli azionisti. Erano i padri e le madri di quelli che ora si definiscono conservatori, popolari, riformisti, progressisti. Non era gente che passava lì per caso. No, erano proprio loro. Persone che pur vedendola in modo tremendamente diverso su tantissimi punti avevano una cosa in comune: odiavano la dittatura e amavano la democrazia e il nostro Paese.


No, una giornata del genere non può e non deve essere divisiva. A meno che non si ritenga che il fascismo non sia stato un crimine, che il fascismo abbia fatto anche delle cose buone e che un tempo (sempre nel periodo del Ventennio, che casualità) si stesse molto meglio di adesso.


In quel caso allora, c’è poco da fare, è una festa divisiva: divide chi è fascista da chi non lo è.


Per tutti gli altri che non la pensano in quel modo: buona Festa della Liberazione!

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