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  • Immagine del redattoreFrancesca Deiana

Alexei Navalny: il nuovo Nelson Mandela o un populista?


Alexei Navalny è senza dubbio l’uomo del momento.

La stampa di tutta l’Unione Europea e di gran parte del Mondo monitora quotidianamente l’evolversi delle vicende che lo vedono protagonista.


Ma chi è Alexei Navalny?

Prima di tutto è un cittadino russo, nato a Butyn nel 1976 e figlio di un ex militare dell’esercito sovietico. Dopo aver frequentato le scuole pubbliche, si laurea prima in Economia e poi in Giurisprudenza, diventando così un avvocato; nel frattempo militava in diversi movimenti e partiti politici, tutti considerati di matrice sovranista e xenofoba.

Ad oggi, Navalny viene considerato un influencer anti-corruzione, per via delle sue inchieste-scandalo pubblicate sul suo sito navalny.com e sul suo canale YouTube che conta sei milioni di followers, grazie ai quali è riuscito a farsi conoscere in tutta la Russia e a mobilitare migliaia di persone per protestare.


L’argomento centrale di Navalny è quella che lui chiama "Kleptocrazia russa", ovvero la corruzione degli apparati statali russi, che avviene principalmente da parte degli oligarchi russi, resa effettivamente possibile da un unico responsabile: il Presidente Vladimir Putin.

Nel 2019 dichiara: “Con Yeltsin la corruzione era un problema, con Putin è diventata un sistema”; ma cosa intende dire? Per avere un quadro più ampio della vicenda può essere utile fare un passo indietro di circa trent’anni e capire in primis come nasce l’attuale ceto degli oligarchi russi.

Nel 1990 il carismatico Boris Yeltsin viene eletto presidente dell’allora Repubblica socialista russa e diventa il principale rivale politico dell’ultimo presidente dell’Unione Sovietica, Michail Gorbacev; il resto è storia: il 25 Dicembre 1991 viene rimossa la bandiera dell’Unione Sovietica dal Cremlino e l’Unione Sovietica cessa di esistere. Yeltsin aveva l’ambizione di mettere in atto la transizione da un sistema economico pianificato a un sistema economico di libero mercato in un regime democratico e ciò comprendeva anche la privatizzazione di impianti industriali e la proprietà fondiaria. I costi della privatizzazione vennero pagati attraverso la vendita di certificati dal valore nominale di 10 mila rubli da investire nell’acquisto di azioni. L’idea funzionò; 40 milioni di russi acquistarono certificati e in soli tre anni 120 mila imprese (specialmente quelle che si occupavano della produzione di materie prime di cui la Russia è più ricca, ad esempio il gas) furono privatizzate. Il tutto fu oggetto di grandi speculazioni e ciò emerse soltanto negli anni successivi: chi disponeva di enorme liquidità aveva comprato le imprese e dunque traeva profitti da esse, mentre chi aveva acquistato azioni aveva tra le mani una grande liquidità resa vana da un’inflazione che nel 1997 raggiunse il cento percento. Così mentre la maggior parte della popolazione viveva in condizioni di povertà, si creava un nuovo ceto di oligarchi.

La crisi economica e i problemi di alcolismo decretarono la fine politica di Boris Yeltsin, che a Dicembre del 1999 si dimise appoggiando quello che sarebbe stato il suo successore: Vladimir Putin.

Con Vladimir Putin, una figura politica molto più simile agli zar dell’età imperiale che a Yeltsin, la situazione cambia: il nuovo presidente stabilisce che la produzione delle risorse energetiche passi di nuovo, seppur parzialmente, sotto il controllo dello Stato e questo fa sì che molti oligarchi debbano scendere a compromessi con le istituzioni, anche perché chi si ribella viene imprigionato e/o processato.


Nel 2008, Alexei Navalny inizia a comprare piccole azioni di società come Gazprom e Rosneft, le principali aziende energetiche russe parzialmente controllate dallo Stato, col fine di acquisire informazioni sui rapporti tra gli apparati statali e gli oligarchi, riuscendo a metterne parecchi in difficoltà. Nel 2014 viene accusato e successivamente condannato a nove anni di libertà vigilata per frode e abuso d’ufficio su larga scala e per aver intascato fondi aziendali del colosso cosmetico francese Yves Rocher, accusa per cui Navalny si è sempre dichiarato innocente.

Dopo un primo documentario-inchiesta del 2017 sull’ex presidente russo Dmitri Medvedev, nel 2018 arriva il punto di rottura tra Putin e Navalny. L’attivista pubblica una video-inchiesta sui legami tra l’oligarca Oleg Deripaska, fondatore del gruppo industriale Basic Element, e il vice-premier Serghej Prikhodko; la produzione dell’inchiesta è stata resa possibile dalle foto e dalle dichiarazioni di una escort: Nastja Rybka. Secondo quanto riporta la Rybka, nell’agosto 2016 l’imprenditore ha invitato il vicepremier a fare un’escursione a bordo del suo yacht a largo della Norvegia, escursione a cui avrebbero partecipato anche alcune escort, tra cui lei. Lo scopo della gita sarebbe stato quello di fornire a Prikhodko le informazioni che Deripaska avrebbe avuto da Paul Manfort, il responsabile della campagna elettorale di Donald Trump e figura chiave del Russia-gate. A seguito della pubblicazione del video, il blog di Navalny è stato oscurato, in quanto, secondo la sentenza del tribunale, ledeva la privacy di Deripaska.


Con la sua prima vittoria elettorale alle elezioni della Duma, Navalny diventa il principale oppositore politico di Vladimir Putin, mandante, secondo lui e secondo diverse inchieste giornalistiche, del suo tentato omicidio.

Il 20 Agosto 2020 mentre Navalny era a bordo del volo Tomsk-Mosca Domodenovo si accascia e perde conoscenza; viene, quindi, predisposto un atterraggio d’emergenza all’aeroporto di Omsk, in cui viene ricoverato nell’ospedale principale della città e in cui vengono fatte le prime analisi, che rilevano tracce di Novachok nel sangue di Navalny. Appresa la notizia, la cancelliera tedesca Angela Merkel dà il suo immediato consenso affinché Navlany sia trasportato a Berlino per poter ricevere cure adeguate; lì viene confermato l’avvelenamento da Novachok. Resterà a Berlino fino al 18 Gennaio 2021.


Nonostante la pericolosità del Novachok, Navalny si riprende più combattivo che mai e con la determinazione di scoprire quante più verità possibili dietro il suo avvelenamento; per questo che decide di mettere in atto un ulteriore piano. Il 22 dicembre pubblica una registrazione video sul suo canale YouTube. La registrazione è di una telefonata avvenuta il 21 Dicembre 2020 tra Navalny, che si è finto un assistente del capo dei servizi segreti, e Konstantin Kudrjavtsen, un chimico militare del Servizio federale per la sicurezza. Kudrjavtsen, preso in contro piede, si è lasciato sfuggire diversi particolari sull’avvelenamento di Navalny, tra questi il fatto che Navalny fosse seguito da anni.

In merito all’avvelenamento è emerso come i medici dell’ospedale di Omsk abbiano fatto di tutto per temporeggiare il trasferimento a Berlino; Kudrjavtsen ha rivelato che a lui era stato affidato il compito di ripulire i vestiti dell’oppositore (il Novachok era nelle sue mutande) e che se è sopravvissuto è solo perché i soccorsi sono stati inaspettatamente troppo tempestivi: il piano era quello di ucciderlo. Dietro il suo avvelenamento c’era, dunque, un piano ben definito a cui hanno preso parte anche medici e scienziati; nonostante dalla telefonata non emerga mai il mandante, ai più sembra ormai chiaro come questi possa essere Vladimir Putin.

Il 18 gennaio 2021, subito dopo essere atterrato a Mosca viene arrestato e il 2 febbraio è stato condannato a tre anni e cinque mesi di carcere per aver violato, recandosi a Berlino, la libertà vigilata a cui era stato condannato per il caso Yves Rocher. Il suo arresto ha mobilitato la popolazione russa, che si è ritrovata a manifestare per la sua liberazione anche con -50°C; Il Post ha riportato alcune dichiarazioni dei manifestanti che sostengono come “(…) per molti anni Navalny ha combattuto per i nostri diritti. Ora è il momento di combattere per lui” e c’è ragione di credere che la morte improvvisa, comunicata dalla CNN, di uno dei medici che per primo ha curato Navalny a Omsk alimenterà altre proteste.

Finora la risposta della polizia alle manifestazioni è stata repressiva: si contano cinquemila e quattrocento arresti, tra questi quello di Yulia Navalny, moglie di Alexei.


Alexei Navalny per la sua capacità di mobilitare la massa russa contro Putin è già passato alla storia e sarà senza dubbio il grande protagonista del 2021.

Tuttavia, non tutti concordano sulla grandiosità del personaggio; si passa da chi lo paragona a Nelson Mandela a chi lo considera un populista: viene spesso sottolineata l'appartenenza storica a partiti e movimenti xenofobi, vengono riportate sue dichiarazioni “islamofobe” in cui paragona i musulmani del Caucaso agli scarafaggi; non è mai stato chiaro sulla questione dell’ annessione della Crimea alla Russia. Il New York Times ha definito le sue inchieste “(…) populiste, sono spesso rigorose ma indulgono anche al sensazionalismo” e qui non si può non notare come l’invito alle proteste iniziate il 23 gennaio è avvenuto attraverso la pubblicazione del video-documentario sulla villa sul mar Nero dal valore di 1 miliardo e 100 milioni, che secondo Navalny è stata regalata a Vladimir Putin da un gruppo di oligarchi.

Sarà solo il tempo a dirci chi è davvero Navalny e come appellarlo, tuttavia le lesioni alla sua libertà di espressione, al diritto alla vita e a ricevere cure adeguate sono un dato oggettivo. Il largo seguito di persone che manifestano lascia intravedere, invece, come una democrazia trasparente sia un bisogno fisiologico dei popoli e che in Russia esisterà un pre e un post Navalny.

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