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  • Immagine del redattoreGiulio Ardenghi

Anche le insegnanti fanno sesso?


Tre insegnanti si sono scattate dei selfie nude e queste foto, in cui le parti intime delle donne sono coperte dall’hashtag #teachersdosex, sono state affisse vicino ad alcune scuole di Torino. È questa la campagna organizzata dall’artista Andrea Villa come protesta contro le discriminazioni di genere e il revenge porn, ovviamente con un occhio all’episodio avvenuto nella stessa città, in cui una maestra venne licenziata dal suo istituto perché il suo ex fidanzato aveva pubblicato su internet alcune foto e video hard di lei senza che lei gliene avesse dato il permesso. L’intento è naturalmente quello di mettere in luce il fatto che anche le donne in generale e le insegnanti in particolare hanno una sessualità e di dire che non c’è nulla di male in tutto ciò.


È un messaggio forte e provocatorio e, come è facile immaginarsi, ha riscosso sostegno ma anche suscitato scalpore e proteste sia da parte di persone che si definiscono femministe sia da persone che non lo fanno. Pertanto, lo scopo di quest’articolo non è quello di giustificare o di condannare questa campagna (o l’adeguatezza delle immagini a un ambiente pedagogico), ma di esplorare alcune delle argomentazioni principali che alcuni utenti della rete che si definiscono femministi hanno usato contro di essa.


La prima è di sicuro quella legata alla forma lessicale: è raro che in inglese qualcuno dica “do sex” e anche in quel caso è visto come qualcosa di sgrammaticato o infantile, poiché è più diffuso e più corretto dire “have sex”. La giustificazione di Villa per questo è curiosa: “Do sex è un gioco di parole perché è sia ‘fanno sesso fisicamente’ che ‘creano sesso’ nel dibattito pubblico”.[1]


Il dibattito si fa più interessante quando questa campagna viene poi accusata di oggettificare il corpo delle donne, e di essere sconclusionata perché è contraddittorio contrastare la sessualizzazione del corpo femminile usando foto che fanno esattamente quello. Alcuni si spingono anche oltre, affermando che quelle foto siano state scattate proprio in un modo da catturare l’attenzione maschile. Chi sostiene l’iniziativa ribatte che queste accuse non funzionano perché le insegnanti delle foto hanno deciso volontariamente di aderire, e che lo slogan “my body my choice” si applica anche in questi casi. Rimane il fatto che l’iniziativa è nata con lo specifico intento di essere un messaggio di protesta, e le forti accoglienze che sta ricevendo, nel bene e nel male, provano che in qualche modo stia suscitando la reazione sperata.


C’è chi poi condanna l’idea di Villa proprio sulla base del fatto che lui, l’ideatore, è un uomo, e per questo la sua iniziativa si pone come l’ennesimo tentativo da parte degli uomini di porsi come “salvatori” delle donne, evidentemente ritenute non in grado di farsi valere da sole. Chi muove queste accuse deve comunque ricordare che la battaglia contro gli stereotipi di genere non è mai stata tra uomini e donne, ma piuttosto contro una narrativa che spinge uomini e donne dentro categorie fisse dalle quali non si può uscire. Garantito, gli uomini traggono benefici notevoli da questa narrativa, ma anche loro hanno un certo interesse ad andare oltre la mentalità che gli impone di essere sempre “forti” e non chiedere mai aiuto a nessuno, anche quando l’aiuto è necessario. In più, c’è una tendenza, quando si fanno questi discorsi, a considerare minoranze e vittime come persone inerti, che possono fare poco se non venire oppresse o manipolate. Per farsi un’idea, è opportuno vedere ciò che una delle insegnanti ritratte nelle foto dichiara: “Questa storia di cronaca può capitare a molte più donne di quelle che si pensa. Rispetto ad altri casi simili, mi sono sentita più coinvolta perché sono una docente e questo mi ha spinto a riflettere sul grado di sessualizzazione di alcune categorie professionali, in particolare sulla mia. La professionalità di Villa e il suo occhio critico mi hanno convinto ad espormi e a spogliarmi perché mi sembrava il modo più incisivo per mostrare vicinanza alla maestra e per rispondere agli attacchi sessisti, maschilisti e misogini che questa vicenda continua a portare con sé”.[2]


Lo scopo di questo articolo, come già detto, non è quello di prendere posizione a favore o contro questa campagna, ma solo mettere in luce il fatto che dietro lo shock e l’apparente semplicità di una vicenda si nascondono motivazioni e ragionamenti più difficili. Specialmente in questo caso, in cui ci sono persone che hanno sofferto e continuano a soffrire, forse essere in grado di guardare quest’episodio con un occhio critico e evitare attacchi sconsiderati è la scelta migliore.



[1]Post caricato su Instagram da Andrea Villa il 5/12/2020, consultabile all’URL: https://www.instagram.com/p/CIaoVV8g8og/Consultato il 5/12/2020 [2]Monti, Vera “La maestra del selfie nuda sul manifesto spiega il motivo della scelta” apparso su Notizie.it il 03/12/2020, URL: La maestra nuda sul manifesto spiega il motivo della scelta | Notizie.itconsultato il 05/12/2020

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