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  • Francesco Serra

Con la cultura si mangia, ma intanto ne rimaniamo a digiuno


Non c’è più bisogno di ribadirlo ulteriormente: l’aforisma attribuito all’ ex Ministro dell'economia e delle finanze G. Tremonti, “Con la cultura non si mangia” (frase da lui stesso smentita ma pienamente confermata dai fatti), ormai sembra sia stato decisamente smontato. A dimostrazione del fatto negli ultimi anni l’insieme delle realtà culturali e creative, grazie evidentemente a una maggiore sensibilità verso il settore dei beni culturali da parte delle istituzioni e dei cittadini, ha subito un aumento di investimenti, ricambiato da un sostanziale incremento economico, tanto che nel 2018 esso è riuscito a produrre in Italia 95,8 miliardi di euro (6,1% del PIL)[1]. Tale dato poi sembrava destinato a crescere, anche a vantaggio del tasso di occupazione, fino a quando non è arrivata la pandemia da COVID-19, tutt’ora imperversante.

Sebbene nei mesi successivi a quella che convenzionalmente chiamiamo “prima ondata” ci sia stata una generale ripresa dei settori produttivi a seguito delle graduali riaperture, è stato stimato che quello della cultura e della creatività, e di conseguenza del turismo, sia fra i settori più colpiti e in difficoltà[2]. Durante la quarantena primaverile infatti secondo i dati dell’Istat sono andati persi dal sistema museale 19 milioni di visitatori e 78 milioni di euro rispetto al 2019[3].

Tuttavia, si può ritenere questa crisi del settore culturale come un evento veramente inesorabile causato dall’epidemia globale? Oppure si potevano, o si possono ancora, porre degli argini?


Sia chiaro, oramai siamo giunti all’ultimo mese del 2020, e il nostro comportamento nel sociale e nel privato risulterà determinante in attesa dell’erogazione del vaccino in Italia, perciò ognuno di noi deve impegnarsi a rispettare tutte le disposizioni sanitarie affinché questo ennesimo sforzo che compiamo possa essere realmente l’ultimo. Ma allo stesso tempo il rispetto, o meglio ancora, l’applicazione delle norme dovrebbe tener conto di un unico peso e di un’unica misura.

Come tutti sappiamo, stando all’ultimo DPCM risalente al 3 dicembre, per ridurre sensibilmente i contagi sul territorio nazionale, i quali sembrano effettivamente diminuzione, almeno fino al 15 gennaio 2021 restano chiusi musei, siti archeologici, cinema e teatri, rimangono sospesi mostre, spettacoli e concerti, mentre sono relativamente fruibili biblioteche e archivi. Eppure, i centri commerciali rimangono attivi con eventuali variazioni a seconda delle regioni e le chiese continuano ad essere aperte per celebrare le funzioni. Ovviamente non si vuole mettere in dubbio il rispetto delle norme in questi ambienti (seppur non sempre si possa mettere la mano sul fuoco), ma non è chiaro il motivo per cui proprio tali ambienti rispettino la normativa meglio dei luoghi erogatori di cultura, come se un museo non possa accogliere i visitatori in maniera controllata e decongestionata al pari di un negozio, mentre un cinema o un teatro non sia in grado di limitare e distanziare i posti a sedere al pari di una chiesa. Il paradosso si accentua se si pensa che luoghi di fruizione culturale come parchi e siti archeologici possano risultare anche più sicuri per i visitatori essendo in grandissima parte all’aria aperta, o ancora di più se si pensa che le chiese di interesse storico-artistico siano comunque visitabili fuori dagli orari delle messe, tant’è che qualche insegnante di storia dell’arte ha ben pensato di svolgere la sua lezione con gli studenti proprio all’interno dei luoghi di culto[4].

Qualcuno potrebbe pure obiettare tale riflessione facendo leva sul fatto che, specialmente a ridosso delle vacanze natalizie, sia necessario incentivare l’economia basata sull’acquisto in fisico di beni materiali anche di natura essenziale per far sì che il Paese si riprenda, allo stesso tempo senza negare alla gente la facoltà di soddisfare le proprie esigenze spirituali, mentre per quanto riguarda l’apporto culturale potremmo tranquillamente farne a meno visto il periodo di crisi

generale che il mondo sta attraversando, perciò la cultura in sé non sarebbe un servizio essenziale.

Ma è proprio quest’ultima affermazione ad essere totalmente errata, poiché musei, teatri, cinema e in generale tutti i luoghi della cultura non sono solo considerati servizio pubblico essenziale per legge[5], bensì sono il punto da cui l’Italia deve ripartire per uscire appieno dalla crisi, durante e dopo l’emergenza COVID, anzi, potremmo dire che ora più che mai il nostro Paese abbia bisogno di percepire, vivere e trasmette cultura.

Ad evidenziarlo vi è in prima linea Il Comitato Nazionale Italiano di ICOM (International Council of Museums, la massima organizzazione che rappresenta i musei di tutto il mondo con i suoi professionisti, dunque non di certo il primo “indignato speciale” che passa sui social), che ha scritto una lettera[6]a Giuseppe Conte e al collegio dei ministri già prima dell’ultimo decreto del 3 dicembre per esortare alla riapertura dei musei, facendo notare appunto che il servizio fornito dai centri commerciali non è di certo più importante di quello offerto dal settore culturale.

Nonostante tutto ciò il piatto della cultura continua a piangere. Quindi, per quale motivo de factola riapertura dei luoghi della cultura non è considerata una manovra prioritaria? Forse non è dato saperlo con certezza, chissà, magari da parte delle istituzioni si preferisce adottare più un approccio panem et circenses(visto che persino i problemi legati al funzionamento della Serie A sembrano aver surclassato quelle del settore culturale) per gestire situazioni sociali delicate, o forse non si è ancora pienamente convinti che con la cultura si possa realmente “mangiare” in uno stato che detiene il primato (insieme alla Cina) di 55 siti riconosciuti dall’UNESCO come Patrimonio Mondiale[7]… E in effetti qualche domanda sorgerebbe spontanea se andassimo a vedere che lo Stato italiano risulta fra i paesi europei che investono di meno nella cultura[8], a prescindere dall’emergenza sanitaria in atto.


Certo, bisogna dire che rispetto agli scorsi decenni si siano compiuti passi avanti e la progressiva digitalizzazione della fruizione culturale ha permesso di erogare servizi anche durante la pandemia, ma ciò non può assolutamente essere ritenuto soddisfacente, viste soprattutto le necessità espresse dai cittadini, i quali desiderano un maggiore godimento del settore preso in esame.

In breve, se vogliamo descrivere la situazione attuale della cultura italiana attraverso una metafora culinaria, abbiamo gli ingredienti, abbiamo i cuochi, ma la cucina è chiusa e i potenziali commensali possono solo limitarsi a sfogliare online il menu del ristorante, che avrebbe tutte le carte in regola per essere stellato.

Pertanto, possiamo solo augurarci che in Italia con la cultura, prima o poi, si mangi veramente.

[1]http://www.centrostudidoc.org/2019/09/23/il-sistema-culturale-e-creativo-italiano-cresce-ma-le-condizioni-di-lavoro-restano-precarie/#:~:text=Secondo%20Io%20sono%20cultura%202019,%2C1%25%20del%20PIL). [2]http://www.oecd.org/coronavirus/policy-responses/shock-cultura-covid-19-e-settori-culturali-e-creativi-e9ef83e6/. [3]https://www.istat.it/it/archivio/243286. [4]https://www.finestresullarte.info/attualita/roma-insegnante-fa-lezione-nelle-chiese-barocche. [5]Si veda l’art. 9 della Costituzione Italiana, l’art. 3 del Codice Urbani (Decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 sui Beni Culturali) e l’art. 1 del Decreto Legge 12 novembre 2015 n. 182. [6]Riportata su https://www.finestresullarte.info/attualita/icom-scrive-a-conte-perche-non-si-riaprono-i-musei. [7]http://www.unesco.it/it/ItaliaNellUnesco/Detail/188. [8]https://osservatoriocpi.unicatt.it/cpi-archivio-studi-e-analisi-quanto-spende-l-italia-in-cultura#:~:text=La%20spesa%20pubblica%20italiana%20in,lo%200%2C3%20per%20cento.

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