top of page
  • Davide Casula

Dieci anni fa a Piazza Tahrir….



Il 25 gennaio 2011 non può essere considerata una data qualsiasi per la popolazione egiziana e per la storia del Paese. Infatti in tale giorno venne indetta una manifestazione contro il regime autoritario di Hosni Mubarak che da 30 anni teneva sotto scacco l’intero Paese, dando inizio a tutti gli effetti alla Rivoluzione Egiziana.


Le cause della rivolta vanno però ricercate negli anni addietro, in particolar modo a partire dalla metà degli anni 2000, quando oramai pareva essere certa la successione del figlio di Mubarak, Gamal, che si era fatto strada tra le alte sfere politiche egiziane. Inoltre, nel 2005 si sarebbero svolte le elezioni presidenziali che, senza dubbio, avrebbero confermato nuovamente il Presidente uscente. I continui brogli che caratterizzavano le elezioni, la presenza assidua del regime che dominava qualsiasi ambito della società civile egiziana e la feroce repressione nei confronti dell’opposizione non poteva lasciare la popolazione inerte. E di fatto iniziarono a formarsi i primi movimenti giovanili d’opposizione, come il Kifaya (Basta!), noto anche come il "Movimento per il cambiamento", nato proprio per contrastare la rielezione alla presidenza di Mubarak e il probabile avvento al potere del figlio. Tale movimento fu protagonista di numerosi cortei e sit-in e il nome stesso (Basta!) esemplificava lo stato d’animo della popolazione, stanca di sopportare i soprusi perpetrati dalle forze di regime.


Nonostante l’ondata di proteste, Mubarak riuscì a mantenere il controllo dell’Egitto vincendo le elezioni presidenziali del 2005, grazie anche all’approvazione di alcuni emendamenti alla costituzione effettuati nel medesimo anno. Questi emendamenti, se da una parte portarono ad una finta apertura in senso democratico (vedasi l'apertura alla partecipazione di altri candidati alle elezioni presidenziali, praticamente impossibile senza l’approvazione del partito a capo del Governo, e dunque senza l’approvazione del PND), dall’altra introdussero nuove misure restrittive nei confronti dei cittadini aumentando ancor di più l’intensità della campagna di repressione verso i dissidenti.


Il successo alle presidenziali del 2005 non fermò l’ira della popolazione, anzi a partire dal 2006 si verificarono numerosi scioperi nelle fabbriche tessili della città di Mahalla al-Kubra dovuti al basso salario e alle precarie condizioni lavorative.

Se inizialmente la situazione sembrò rientrare, a partire dal 2008 le cose precipitarono. Gli operai organizzarono uno sciopero generale per l’8 aprile, ed a sostegno di questi ultimi un nuovo gruppo giovanile si fece strada: il "Movimento 6 aprile" che, attraverso la propria pagina Facebook, fornì il suo supporto ai lavoratori, organizzando in tale data grandi manifestazioni che presero di mira, per esempio, la sede dell’Egyptian Trade Union Federation, ovvero il sindacato nazionale egiziano controllato totalmente da persone vicine a Mubarak.

La formazione di questi due movimenti giovanili giocò un ruolo chiave nel coordinamento delle proteste, anche attraverso l’uso di internet ed dei social media che ricopriranno una posizione cruciale nei fatti del gennaio 2011.


Un altro grave episodio segnò profondamente la popolazione egiziana.

Il 6 giugno 2010 Khaled Said, un giovane programmatore informatico di Alessandria, fu arrestato e torturato barbaramente da due agenti di polizia a causa di un video postato che ritraeva due poliziotti egiziani spartirsi la droga sequestrata in un’operazione. Il giorno stesso il corpo del ragazzo fu ritrovato senza vita; erano evidenti i segni degli abusi subiti, ma nonostante ciò il Ministero dell’Interno diede una spiegazione dei fatti totalmente assurda affermando che il ragazzo fosse morto per aver ingerito delle droghe. La famiglia e i cittadini si mobilitarono ancora una volta attraverso Facebook, dove venne creata dal responsabile marketing di Google per il Medio Oriente e il Nord Africa, Wael Ghonim, la pagina “We are all Khaled Said”. Quest’ultima si attivò in numerose iniziative per commemorare il ragazzo e, soprattutto, per ottenere giustizia per la sua morte.


Sempre nel 2010 si svolsero le elezioni politiche che, tra raggiri e violenze, confermarono ancora una volta il Partito Nazionale Democratico. Dal gennaio 2011 la situazione cambiò nettamente; sulla scia degli eventi susseguitisi in Tunisia, il 25 gennaio fu organizzata una manifestazione da parte dei vari gruppi giovanili come Kifaya, il Movimento 6 aprile e la stessa pagina Facebook “We are all Khaled Said”, che attraverso le piattaforme digitali chiamarono a raccolta i civili.

Migliaia di persone si recarono a Piazza Tahrir, chiedendo a gran voce le dimissioni del Presidente. Simbolici furono gli slogan che contraddistinsero la protesta: “pane, libertà, dignità e giustizia sociale” (in arabo khubz, hurriyya, karama, adala ijtima’yya) gridava la folla [1]. Le immagini della Piazza gremita rappresentarono il risveglio dei cittadini egiziani, speranzosi di poter porre fine alla Presidenza Mubarak ed avviare finalmente un processo democratico.


Le proteste andarono avanti per tutto il mese di gennaio ed i primi giorni del mese successivo quando, l’11 febbraio, il Vicepresidente Suleiman annunciò le dimissioni di Mubarak ed il passaggio dei poteri presidenziali nelle mani del Consiglio supremo delle forze armate (Scaf), che si sarebbe occupato della transizione democratica ed entro 6 mesi avrebbe consegnato i poteri ad un governo civile. Per la felicità degli egiziani.


Ad oggi, come noi tutti sappiamo, la situazione in Egitto non è cambiata. Anzi, dopo il colpo di Stato del 3 luglio 2013 per mano dei militari guidati dal Ministro della Difesa Abdel Fattah Al-Sisi contro l’allora Presidente Mohamed Morsi, esponente della Fratellanza Musulmana, l’Egitto è tornato nuovamente a tempi bui, forse peggiori anche della Presidenza Mubarak. Ma nessuno ci potrà mai togliere le immagini di Piazza Tahrir il 25 gennaio 2011, pura espressione di libertà.

Fonti:

[1] Laura Guazzone, Storia contemporanea del Mondo Arabo: I Paesei arabi dall’impero ottomano a oggi, Mondadori Università


Fonte foto:

https://it.wikipedia.org/wiki/Rivoluzione_egiziana_del_2011

bottom of page