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  • Immagine del redattoreAlessandro Manno

Elezioni 2022 | Il centrodestra vince, Giorgia Meloni verso Palazzo Chigi




Sono le 2.58 del 26 settembre 2022. Giorgia Meloni ha appena concluso il discorso di quella che è la più importante vittoria della destra dall’inizio della storia repubblicana. L’affluenza è una delle più basse della storia (64%) e al momento in cui scrivo i dati sono ancora incompleti ma delineano un quadro chiaro e annunciato dalle proiezioni che erano state condotte in questi mesi. La coalizione di centrodestra si attesta come forza maggioritaria nel prossimo Parlamento e si appresta a guidare il Paese in un momento che si annuncia di grande difficoltà. Il costo dell’energia, la guerra in Ucraina, l’inflazione, un Paese socialmente ed economicamente fragile sono alcune delle sfide che il prossimo Governo, guidato con tutta probabilità da una donna per la prima volta nella storia del nostro Paese, dovrà affrontare.


Mai, nella mia pur breve esperienza di vita, avevo assistito ad una vittoria così schiacciante di una compagine elettorale. Una vittoria senza appello che inchioda molti degli sconfitti a una serie di errori e mancanze ma che premia la coerenza e il lavoro compiuto negli anni da Fratelli d’Italia e da Giorgia Meloni nel presentarsi come una forza credibile agli occhi degli elettori e in grado di guidare il Paese.


Il primo soggetto che viene da analizzare sono proprio i vincitori, o meglio la vincitrice perché Giorgia Meloni vince da sola. Gli italiani non hanno scelto la coalizione di centrodestra hanno scelto lei, con le sue proposte, con la sua lunga gavetta nel partito (prima MSI, poi AN, poi PDL) e ne hanno premiato la coerenza nelle posizioni mostrata negli ultimi anni. Non è la vittoria della Lega di Matteo Salvini, che paga ad un prezzo carissimo l’esperienza al Governo con Mario Draghi e si appresta a una resa dei conti interna, visto il collasso dei consensi avvenuto (dal 33,4% registrato alle Europee a una cifra che oscilla vicino al 9%). Non è la vittoria di Forza Italia e non lo è sicuramente di Silvio Berlusconi, ormai sempre più ai margini della politica italiana e che accompagna a un inevitabile declino la forza politica che aveva creato ormai venti anni fa. Le briciole raccolte dai due partiti non fanno altro che far pendere sulla bilancia delle trattative il peso delle argomentazioni della Meloni che ora avrà l’arduo compito di rassicurare i mercati, approvare la finanziaria, rilanciare il Paese, non bruciando il capitale politico accumulato come fatto in questi anni in rigoroso ordine cronologico da Matteo Renzi, il Movimento 5 Stelle e in ultimo Matteo Salvini. Vedremo se riuscirà a liberarsi dell’ombra ingombrante del fascismo che copre non tanto lei come leader, ma diversi esponenti del suo partito (soprattutto in alcune realtà locali). Vedremo se riuscirà a creare un partito conservatore moderno che sappia andare oltre ai facili slogan e si dimostri forza di governo e di sistema.


Poi ci sono gli sconfitti e anche qui le evidenze raccolte risultano incontrovertibili. Il Partito Democratico perde malamente, conducendo il centrosinistra a una delle sconfitte più brucianti di sempre, e dimostrandosi - se mai qualcuno avesse ancora dei dubbi - un partito in forte crisi di identità e che non riesce più a stabilire una connessione con il proprio elettorato reale e potenziale. Ridurre il tutto a una semplicistica accusa al Segretario Enrico Letta sarebbe del tutto fuori luogo. La prima domanda che la classe dirigente dei democratici dovrà porsi è: ha senso continuare questa esperienza politica? E la seconda: che collocazione dare un partito che da sempre ha una vocazione maggioritaria e che negli obiettivi vuole riunire tutte le energie progressiste del Paese? Sicuramente servirà un congresso nel quale si dovranno lavare tutti gli stracci rimasti a marcire sinora nel ripostiglio delle scope; ma il Partito Democratico con i suoi amministratori locali e la sua struttura di partito ormai unica nel panorama italiano se vuole sopravvivere dovrà ascoltare il Paese e trovare un modo per recuperare tutti quegli astenuti che non sono andati a votare.


Se il PD perde male a perdere bene tutto sommato è il M5S guidato da Giuseppe Conte, che con una capriola degna delle migliori opere circensi è riuscito a trasformare i pentastellati in un partito che in molte idee si avvicina alle sinistre progressiste europee, collocandolo in una precisa area politica. Certo, questo non deve far dimenticare le incoerenze del suo leader che ha messo le firme sui decreti sicurezza e ha governato con Salvini, ma pone sicuramente la forza fondata da Beppe Grillo in uno spazio politico nuovo che gli darà nuova linfa in vista dei prossimi anni. Ora l'M5S torna a fare ciò che è più insito nel proprio DNA: fare opposizione. Dura. E vedremo se pagherà.


Poi c’è il duo Calenda-Renzi che con il loro Terzo Polo (che poi sarebbe quarto, ma vabbè sono dettagli) si attesta come forza moderata, pronta a prendere l’eredità di Forza Italia nel momento in cui verranno chiusi i battenti e raccogliere i transfughi liberal del Pd nel momento in cui il partito decidesse per una svolta più a sinistra. Vedremo come anche loro si destreggeranno nel difficile compito dell’opposizione, arte difficile (chiedere alla Meloni ripetizioni nel caso), e se l’accordo elettorale nato a pochi mesi dal voto per non rimanere appiedati riuscirà ad essere capitalizzato in qualcosa di politicamente rilevante.


Queste in breve sintesi le posizioni che a poche ore dal voto emergono dalle parole e dagli atteggiamenti dei leader al termine di una delle campagne elettorali più brutte e assurde di cui si ha ricordo, con partiti che dovrebbero ribaltare il risultato che neanche ci provano e vincitori annunciati che non devono fare altro che devono solo gestire il vantaggio.


Una cosa è certa: gli italiani hanno scelto. Hanno scelto la destra. Vedremo (è tutto un condizionale questo articolo ma dopo questi anni di certezze ce ne sono ben poche) se le differenze e le contraddizioni interne alla coalizione verranno fuori, se lo stare al Governo logorerà la Meloni o la rafforzerà, vedremo se nelle stravaganze degli accordi parlamentari verrà cambiata la Costituzione. Vedremo. Già vedremo. Perché TocToc Sardegna come vi ha accompagnato nel voto tenterà di farlo anche nel post, vi terrà compagnia e cercherà di raccontarvi la complessità in un momento che è storico. Vi abbiamo raccontato la pandemia nella sua fase più acuta, la caduta di due governi, una guerra alle porte dell’Europa, l’elezione per la seconda volta di fila di un Presidente della Repubblica, e vi racconteremo, probabilmente, l’esperienza di governo della prima donna.


Non so dirvi se questo è un cambiamento epocale o meno, se segnerà le nostre vite o meno. So solo che le cambierà. E noi proveremo a informarvi. Come sempre.

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