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  • Mattia Porcu

Il coraggio dell'Afghanistan che resiste


Dal 15 agosto scorso la vita degli afgani è cambiata. E in particolare per le donne non può che essere cambiata in peggio.


Lo sa bene Zarifa Ghafari. Ha soli 27 anni ed è la sindaca di Maidan Shahr, una piccola città a sud di Kabul. È la sindaca (donna) più giovane di tutto l'Afghanistan da quando il presidente Ghani la nominò, nel 2018. Chiunque al suo posto avrebbe paura per la propria vita. Una donna, condizionata dalle “dissolutezze” di un mondo occidentale, è giocoforza un obiettivo della furia talebana. Le ritorsioni se le aspetta. La vendetta di chi non può sopportare il progredire della storia sui costumi sociali umani che dal Medioevo, fortunatamente, in Occidente ha compiuto passi da gigante, ma che in alcune parti del mondo è rimasto fermo lì.


Eppure lei non ha paura. «Sono qui seduta in attesa che arrivino» ha detto qualche giorno fa al New York Times, aggiungendo "Ma non mi fermerò ora, anche se verranno di nuovo a cercarmi. Non ho più paura di morire". In questi 20 anni di missione internazionale la libertà l'hanno sentita lei e il suo popolo. Quella libertà che è come l’aria, una volta che ne assapori il profumo, non puoi più farne a meno e sei disposto a tutto pur di non perderla. E nemmeno la morte, di fronte alle privazioni che le barbarie umane comportano, può far paura.

I talebani invece in conferenza stampa continuano a rassicurare il mondo sul rispetto dei diritti umani, in particolare quelli delle donne, che pare saranno coinvolte negli affari del futuro governo. Eppure questo stride con la loro intenzione di applicare la Sharia, la legge islamica, che alle donne affida un ruolo molto più defilato, punendole se solo osano uscire senza una compagnia maschile. Che peso dare a queste asserzioni? Solo il tempo ci saprà rispondere. L’applicazione della Sharia dà però ben poca speranza. Difficile pensare che i talebani in questi anni siano cambiati, per di più così radicalmente.


Ma intanto alle donne afgane il coraggio non manca. I video che ritraggono tre donne che, totalmente avvolte da un velo nero, a Kabul protestano per la loro libertà di fronte ai kalashnikov talebani fanno il giro del mondo. [1] È vero, son solo quattro, ma la loro voce e il loro coraggio non possono che essere da esempio. Neanche loro vogliono rinunciare alla libertà. E combattono. Non solo per loro stesse, ma per tutti. Disilluse dalla fuga degli americani, sanno bene che nessuno stavolta verrà in loro aiuto. Tutto ciò che è rimasto è la loro resistenza. E la speranza di un futuro migliore. Quella stessa speranza che avevano i tre giovani afgani, avvinghiati con le braccia alla fusoliera dell’aereo militare americano. Quelle braccia però non hanno retto alla forza delle correnti e li han fatti precipitare sulla stessa pista da cui, in modo rocambolesco, erano partiti. La stessa sfortuna ha avuto Salima Mazari, governatrice del distretto di Charkint, a nord del Paese. Di lei non si sa più nulla. Sembrerebbe sparita nel nulla. Eppure anche lei aveva dedicato tutta se stessa alla difesa del suo distretto, visitando i soldati e armandosi ella stessa.


I media raccontano che a Kabul la calma è piatta. Ma il silenzio è apparente. Le telecamere infatti sono tutte puntati sulla capitale e lasciano nell’ombra le piccole città conquistate in queste settimane. Probabilmente la situazione laggiù è ben diversa da ciò che sembra.


Fonti:

[1] Marta Serafini, Il coraggio delle donne afghane, che protestano a Kabul: «Ci siamo anche noi», Corriere della Sera - Corriere TV, 17 agosto 2021, https://video.corriere.it/esteri/coraggio-donne-afghane-che-protestano-kabul-ci-siamo-anche-noi/302f0ad4-ff6b-11eb-afac-f8935f82f718


Fonte copertina: Ansa.it

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