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  • Marco Fanari

Il regionalismo al tempo del Covid


Oggi intervistiamo il Prof. Alfonso Celotto, ordinario di diritto costituzionale presso l’Università Roma Tre, per capire quali siano le problematiche e le possibili soluzioni in relazione al rapporto fra Stato e Regioni che sta diventando sempre più conflittuale in questa epoca pandemica.


1. In questo periodo dominato dall’emergenza sanitaria Covid-19 siamo stati travolti da decreti legge, Dpcm ed ordinanze regionali. Ci può spiegare la loro natura ed il rapporto che c’è fra loro?


Noi abbiamo uno Stato articolato, con competenze differenziate sul territorio. Quindi si sono sovrapposte le competenze di protezione civile, che a livello nazionale spettano al Governo con Dpcm, alle ordinanze sanitarie, che ai sensi della legge 833 del 1978 spettano ai Presidenti di Regione e Sindaci.

In tutto questo ovviamente era importante anche il ruolo del Parlamento che è intervenuto con il suo strumento d’urgenza, cioè il Governo che, a sua volta, è intervenuto col suo strumento d’urgenza, il decreto legge, convertito successivamente il legge dal Parlamento.

Questo insieme di ordinanze comunali, regionali, Dpcm, decreti legge e leggi di conversione ha reso molto più complessa e farraginosa la normativa sul Covid che già di per sé è un fenomeno difficile da affrontare.


2. Oltre alle prescrizioni statali non sono mancate le ordinanze dei Presidenti di Regione che hanno inciso prepotentemente sul nostro stile di vita. Quali sono i limiti delle ordinanze regionali? Secondo lei sono stati rispettati?


Le ordinanze regionali sono in nome della sanità e abbiamo visto che varie di queste sono state annullate, perché c’è anche stato poi un gioco alla rincorsa fra Stato, Regioni e Comuni nei loro provvedimenti. Ricordiamo tutti le ordinanze annullate del Presidente della Calabria o di quello della Sicilia o della Sardegna. Ma erano anche bandiere politiche a determinate situazioni.


3. In questo panorama dominato da una normativa fitta e poco chiara si è aggiunto anche il conflitto politico fra il Governo e le Regioni. A suo parere è venuto meno il principio di leale collaborazione fra lo Stato e le Regioni?


No, non è venuto meno il principio, ma è stato più difficile articolarlo. Anche perché la pandemia è sicuramente nazionale, ma ha avuto degli sviluppi differenziati nelle in varie zone del territorio. Ed ecco allora che sono serviti strumenti differenziati e non sempre c’è stato un raccordo efficace fra Stato e Regioni.


4. Per favorire ed accentuare la collaborazione fra lo Stato e le Regioni è necessario ampliare le competenze di queste ultime?

Questo è un tema che ci portiamo avanti almeno da trent’anni, perché da quel periodo si discute di quale sia l’assetto giusto delle autonomie territoriali. Nel senso che prima si era pensato di valorizzare le Regioni con la riforma del 2001 con il quasi federalismo, che ci ha portato ad un tentativo di cambio di forma di governo che non si è realizzato. Poi abbiamo pensato invece di eliminare le Province. Però l’eliminazione delle Province, iniziata nel decennio scorso, non si è completata come pure non si è chiarito il ruolo delle Regioni.

Siamo rimasti un po’ a metà strada fra un sistema quasi federale ed un sistema accentrato in cui abbiamo almeno tre livelli di governo territoriale. Io credo che questa pandemia debba farci riflettere e farci capire qual è il giusto assetto sul territorio dei poteri locali e chiarire se, quindi, serve un sistema a tre livelli o piuttosto un sistema a due livelli: o solo Province e Comuni, come era nello Statuto Albertino, o solo Regioni e Comuni, come pure si era ipotizzato.

Sicuramente questo sistema con sovrapposizione di competenze poco chiare non ha mostrato un buon funzionamento.

5. A suo parere il ruolo della Conferenza Stato Regioni dovrebbe essere ampliato per garantire maggiore dialogo fra lo Stato centrale e le Regioni?


Anche questa è una domanda difficile perché la Conferenza Stato Regioni è un organo che nasce come amministrativo e poi prende anche funzioni di concerto che però non hanno il pieno rango costituzionale. In fondo in un sistema federale serve un Senato delle Regioni e non una semplice Conferenza Stato Regioni. Per cui anche qui servirebbe chiarire quale è il disegno che si vuole perseguire per poi capire se costituzionalizzare la Conferenza, trasformandola in un “Bundesrat” alla tedesca, oppure tenere un sistema più accentrato in cui servono soltanto strumenti di raccordo. Io credo che il punto centrale sia, terminata la pandemia, riuscire ad avere una linea certa sul sistema delle autonomia che, invece, in Italia da trent’anni non siamo ancora riusciti a chiarire, proprio perché abbiamo capito che il sistema Regioni, Province e Comuni non ha funzionato bene.

Questa pandemia, che è stata ed è un amplificatore di problemi noti, ce lo sta confermando. È importante far tesoro di questa esperienza per avere una linea chiara perché l’Italia può funzionare benissimo o soltanto con le Regioni o soltanto con le Province; però chiarendo, valorizzando e stabilizzandone il ruolo.

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