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  • Immagine del redattoreMatteo Cardia

Il Sudafrica di Desmond Tutu


Scegliere di agire e non di essere indifferenti. Scegliere di usare la propria voce, di non renderla mai aggressiva ma solamente forte, schietta, udibile a tutti. Desmond Tutu ha scelto di stare dalla parte degli oppressi, di diventarne una guida e di non lasciare mai il suo popolo da solo. A novant’anni, una delle figure principali della lotta all’apartheid ha lasciato il Sudafrica : dopo la morte di Nelson Mandela, quella di Tutu segna l’inizio di una fase nuova di un Paese che non ha ricucito ancora le ferite lasciate dal passato, anche quello più recente.

If you are neutral in situations of injustice, you have chosen the side of the oppressor. If an elephant has its foot on the tail of a mouse, and you say that you are neutral, the mouse will not appreciate your neutrality

Desmond Tutu era nato nel 1931 a Klerksdorp, cittadina a circa 170 chilometri da Johannesburg, una delle più grandi città del Paese. Incontra quasi casualmente la vocazione, quando per riprendersi da una aggressiva tubercolosi comincia a frequentare la chiesa anglicana del luogo. Sono gli anni in cui il National Party sudafricano mette radici definitivamente nel governo e istituzionalizza il regime di apartheid. Un regime che Tutu sin dall’inizio della sua età adulta ha deciso di boicottare: abbandona l’insegnamento nel 1958, dopo avere iniziato solo tre anni prima, non volendo essere parte di un sistema in grado di giustificare la segregazione razziale e si dedica completamente all’attività religiosa, recandosi prima in Gran Bretagna per studiare teologia e tornando poi a servire in Sudafrica nel 1966.


Gli anni Sessanta sono quelli più complessi per la resistenza dell’African National Congress di Nelson Mandela, dotatosi di un braccio armato pochi anni prima, e che nel 1964 vede condannati i suoi principali esponenti all’ergastolo. L’attività di Tutu diventa a poco a poco fondamentale, soprattutto tra il 1975 e il 1976: a metà degli anni Settanta, infatti, nominato decano a Johannesburg e nel giugno dell’anno dopo si verificano gli scontri di Soweto, dove più di cinquecento neri persero la vita a causa della violenta repressione della polizia.

È il momento in cui il movimento anti-apartheid si rafforza: da una parte l’attività clandestina dell’African National Congress e i successi delle lotte nazionaliste e socialiste in Mozambico come esempio, dall’altra l’operato segnato dalla non-violenza di Tutu, che diventa negli anni una figura sempre più importante nella lotta contro il governo segregazionista. Il sacerdote anglicano appoggia il boicottaggio economico, guida le proteste per le strade di Johannesburg ed è il primo leader nero a confrontarsi con i politici bianchi a capo della nazione.


Nel 1984 vince il Premio Nobel per la pace per il suo impegno profuso, un anno dopo diventa vescovo di Johannesburg – primo nero a ricoprire la carica – poi, nel 1986, di Città del Capo, oltre che capo della Chiesa Anglicana in Sudafrica. Il continente africano vive tra gli anni Ottanta e gli anni Novanta momenti che mettono alle strette anche i regimi legati alle potenze atlantiste, come il Sudafrica [1]: un periodo in cui gli uomini religiosi hanno un ruolo rilevante nella transizione verso la democrazia, come confermato da Tutu che dal 1990 al 1994, anno dell’elezione di Mandela a presidente del Sudafrica, è guida politica e spirituale del Paese. È anche per questo motivo che lo stesso Mandela lo nomina a capo del Truth and Reconciliation Commission, il sistema giudiziario straordinario costituito dopo il passaggio del potere all’ANC, utile a riconoscere i crimini del regime ma anche tentativo di costruire un sentimento nazionale di coesione e perdono. [2]

"My father always used to say, 'Don't raise your voice. Improve your argument.' Good sense does not always lie with the loudest shouters, nor can we say that a large, unruly crowd is always the best arbiter of what is right."

La figura di Desmond Tutu ha segnato il Novecento del Paese dell’estremo meridione del continente africano, anche dopo che il governo passò nelle mani dell’ANC, quando Tutu criticò aspramente il Sudafrica per i suoi rapporti con Robert Mugabe, presidente dello Zimbabwe, prezioso alleato negli anni delle attività clandestine dell’ANC e tuttavia non un modello di buon governante. Ma l’esempio e la voce dell’arcivescovo hanno oltrepassato confini, anche quelli più difficili. Dal rapporto con il Dalai Lama [3] fino alla presa di posizione nel conflitto israelo-palestinese [4], dove la condanna ad Israele per le sue azioni non è mai mancata.


Nonostante l’operato di Tutu e di Mandela, ritiratosi dalla politica nel 1999, il Sudafrica è rimasto un Paese ferito e diviso, malgrado i dati macroeconomici, soprattutto nei primi anni 2000, facessero erroneamente sperare il contrario. La pandemia ha aggravato una situazione che dopo la crisi economica degli anni Dieci del Duemila si è fatta sempre più grave, anche per via di un contesto politico e sociale sempre più frammentato. Ad oggi, secondo il World Inequality Lab diretto dall’economista Thomas Picketty, il Sudafrica è il paese più ineguale al mondo, in cui 3500 persone possiedono di più rispetto ai 32 milioni di persone più povere di un paese che conta sessanta milioni di abitanti. [5]

La presidenza di Alfred Zuma, dal 2009 al 2018, ha segnato questo periodo: nonostante i problemi con la legge, l'ex presidente, oggi sotto processo per corruzione, è ancora sostenuto da parte della popolazione. Una situazione che indebolisce l’azione dell’attuale presidente, Cyril Ramaphosa, trovatosi, nelle ultime settimane, anche di fronte al blocco dei viaggi verso e in uscita dal paese a causa di frettolose decisioni dovute alla propagazione della variante Omicron. Una scelta condannata anche dal Segretario delle Nazioni Unite Guterres. [6]


Le proteste nell’ultimo inverno sudafricano, quasi trasformatesi in rivolte, nate nella provincia di nascita dell’ex presidente, sono state l’ultimo tassello di un puzzle sempre più complesso da comporre. [7] Un quadro in apparenza completo solo quando Nelson Mandela e Desmond Tutu presero per mano un popolo alla ricerca della propria naturale libertà. Il Sudafrica e il mondo intero hanno perso un rivoluzionario dal cuore buono. Spetta alle nuove generazioni sudafricane non farlo rimpiangere.


Fonti:

[1] Tra gli anni Ottanta e gli anni Novanta il continente africano fu investito da un’ondata di democratizzazioni, alcune dagli esiti positivi, altre furono cambiamenti parziali o solo sulla carta di forme governo e uomini al potere. A spingere verso questi cambiamenti, oltre alla società civile, fu una situazione economica dilaniata da politiche economiche imposte da Fondo Monetario Internazionale e Banca Mondiale: in alcuni casi, gli indicatori economici crebbero positivamente, causando forte fiducia da parte dei mercati, nella stragrande maggioranza delle azioni però la situazione fu estremamente differente e le disuguaglianza cominciò a diventare un segno rintracciabile in molti stati del continente. Per approfondire: An Introduction to African Politics, Alex Thomson [2016] o L’Africa: gli stati, la politica, i conflitti, Giovanni Carbone [2021].

[2] Redazione, Key dates in life of S African anti-apartheid icon Desmond Tutu, Al Jazeera, 26 dicembre 2021, https://www.aljazeera.com/news/

[3] Redazione, Desmond Tutu and the Dalai Lama joke and dance in uplifting resurfaced footage, The Indipendent, 26 dicembre 2021,

[4] Redazione, Anti-apartheid icon Archbishop Tutu dies. Here is what he said about Israel-Palestine, Middle East Eye, 26 dicembre 2021,

[5] Antony Sguazzin, South Africa Wealth Gap Unchanged Since Apartheid, Says World Inequality Lab, Time, 5 agosto 2021, https://time.com/

[6] Michelle Nichols, U.N. chief concerned about southern Africa isolation over Omicron, Reuters, 29 novembre 2021, https://www.reuters.com/world/africa/

[7] Redazione, Explainer: What caused South Africa's week of rioting?, Africanews, 21 luglio 2021, https://www.africanews.com/2021/07/21/explainer-what-caused-south-africa-s-week-of-rioting/


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