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  • Immagine del redattoreMatteo Monaci

Il tramonto di Weimar

Così trapassa una democrazia


Potrete anche prendervi le nostre vite e la nostra libertà, ma nessun decreto vi darà mai il potere di distruggere quelle idee che sono eterne e inalienabili”


Così risuonò nel teatro Kroll di Berlino l’ultimo discorso pronunciato da Otto Wells, segretario del Partito Socialdemocratico Tedesco, come estremo atto di resistenza.


Era il 24 marzo 1933, una data destinata a segnare per sempre la storia della Germania e dell’umanità intera. In quel giorno di novant’anni fa la fragile Repubblica di Weimar vide la sua ultima alba e il Paese precipitò nell’oscurità. Fu il giorno dell’approvazione del decreto dei pieni poteri da parte del parlamento tedesco, riunitosi a teatro a seguito dell’incendio che aveva devastato il palazzo del Reichstag. Esso avrebbe consentito al governo di Adolf Hitler di emanare le leggi senza dover passare per l’approvazione del parlamento, spianando di fatto la strada per la dittatura. Ma come potette una delle democrazie più avanzate al mondo tramutarsi in uno spietato regime totalitario, artefice degli orrori efferati di cui conosciamo? Per comprendere davvero come tutto ciò fu reso possibile è necessario fare un passo indietro di quindici anni, quando la Germania, uscita sconfitta dalla Grande Guerra, aveva visto sgretolarsi il Secondo Reich.


Nel novembre del 1918 marinai e operai di tutta la Germania, stremati dalla guerra, erano insorti chiedendo la fine delle ostilità. La rivolta portò al crollo dell’impero, alla firma dell’armistizio e alla proclamazione della Repubblica democratica di Weimar, dal nome della località in cui si riunì per la prima volta l’assemblea nazionale. La Repubblica nacque da un accordo tra i socialdemocratici, che godevano di un forte consenso tra la classe operaia, e i vertici dell’esercito, di idee conservatrici. La nuova Costituzione si rivelò assai avanzata per l’epoca, racchiudendo al proprio interno oltre che la garanzia delle libertà fondamentali, anche il suffragio universale e i primi elementi di stato sociale, inseriti grazie ai socialdemocratici, affermando in particolare all’art. 151 che la libertà d’iniziativa economica incontrasse il proprio limite nel diritto di ogni persona a un’esistenza dignitosa. Nei primi anni la Repubblica, retta da governi di coalizione di cui facevano parte socialdemocratici, cattolici e liberali, si trovò a fronteggiare le gravi difficoltà economiche seguite al primo conflitto mondiale. Le pesanti riparazioni di guerra imposte alla Germania dai Paesi vincitori e volute in particolare dalla Francia di Clemenceau prostrarono un Paese in cui l’inflazione era alle stelle e la popolazione era ridotta alla fame. A ciò si aggiunsero le ulteriori umiliazioni subite dalla nazione, decretate in occasione degli accordi di pace di Versailles, che comportarono una riduzione consistente dell’esercito, la smilitarizzazione della Renania e una perdita consistente di territori e colonie. Tutto ciò offrì ai nazionalisti di estrema destra il pretesto ideale per soffiare sul malcontento della popolazione, facendo leva sul mito della cosiddetta “pugnalata alle spalle”, una teoria totalmente infondata che vedeva la sconfitta della Germania nella Grande Guerra non come una conseguenza delle gravi condizioni economiche in cui era ridotta, ma del tradimento dei nemici interni alla nazione, gli stessi che avevano dato vita alla repubblica, determinando la fine del Secondo Reich.


L’estrema destra, il cui nazionalismo non era altro che uno specchio per le allodole, mirava inizialmente a rovesciare con la forza armata le istituzioni democratiche e a instaurare un regime autoritario, al fine di schiacciare le rivendicazioni sociali della classe lavoratrice nell’interesse degli industriali. Un primo tentativo di colpo di stato si ebbe nel 1920 con il Putsch di Kapp, dal nome del giornalista di estrema destra che lo orchestrò, ma fallì miseramente di fronte all’opposizione del popolo, che su appello del presidente Ebert insorse contro i golpisti proclamando uno sciopero generale a sostegno della Repubblica e della democrazia. Negli anni a seguire, dopo un primo periodo di austerità, il Paese sembrò riprendersi grazie anche agli investimenti americani che consentirono alla Germania di far fronte alle riparazioni di guerra e ai Paesi creditori, come Francia e Gran Bretagna, di ripagare i debiti contratti con gli USA. Un’aria di speranza si respirava per le strade, la Germania sembrava ormai essersi lasciata alle spalle i giorni bui della guerra e la musica, la letteratura, il teatro, il cinema e l’arte delle avanguardie rifiorivano. Berlino divenne presto il motore propulsore di una nuove rivoluzione culturale. Grazie alle nuove conquiste sociali, a uno stato in grado di intervenire e porre un freno alla libera iniziativa economica, anche le condizioni di vita della popolazione sembravano essere destinate a migliorare giorno dopo giorno. Il Paese intero pareva avviarsi verso un futuro radioso lungo i viali spianati dalla Repubblica. Ma si sa i sogni più belli hanno vita breve, destinati a svanire nell’oscurità.


Nel 1929 venne la Grande Depressione, che dall’America dilagò presto in Europa. Le tenebre si addensavano sulla Germania, che, senza più gli aiuti americani, sprofondò nuovamente nel baratro. Per far fronte alla nuova crisi il governo conservatore di Bruning impose pesanti misure di austerità tagliando la spesa pubblica e i sussidi sociali e aumentando le imposte, misure che ridussero la popolazione allo stremo. L’estrema destra colse così l’occasione per risollevare la testa. Essa vedeva ora il suo principale rappresentante nel Partito Nazionalsocialista, fondato nel 1920 da Adolf Hitler, il quale aveva inizialmente abbracciato la strategia insurrezionale, con il tentato Putsch di Monaco nel 1923, fallito per via della scarsa partecipazione, per poi adottare una strategia nuova, che da una parte mirava a cambiare lo Stato attraverso le istituzioni, dall’altro non rinunciava alla violenza squadrista contro gli oppositori ricorrendo ai propri gruppi paramilitari: le SA (Sturm Abteilungen - squadre d'assalto, ndr). Se fino agli anni’30 il partito ottenne scarse percentuali, con l’avvento della crisi esso seppe conquistarsi il consenso dei grandi industriali, della classe media e dei contadini, facendo leva da una parte sul timore di una rivoluzione socialista che doveva essere sventata e dall’altra risfoderando il mito della pugnalata alle spalle, utilizzata per accusare di tradimento gli avversari politici e gli ebrei, nuovo capro espiatorio dell’ideologia razzista e antisemita del partito. I nazisti arrivarono a conquistare più del 40% dei voti e Hitler fu nominato cancelliere. Il 27 febbraio 1933 un incendio devastò il Reichstag, sede del parlamento. Fu il pretesto di Hitler per far emanare al presidente Hindenburg il Decreto con il quale i comunisti furono messi fuori legge, consentendo così ai nazisti di avere la maggioranza parlamentare per l’approvazione del decreto dei pieni poteri, con l’appoggio di nazionalisti e cattolici.

Con la morte di Hindenburg nel 1934, Hitler assunse anche la carica di Presidente, spianando definitivamente la strada per la demolizione della Repubblica e l’inizio del Terzo Reich, a cui seguirono gli orrori che tutti conosciamo.


Weimar non è soltanto una pagina di un passato ormai dimenticato, sepolto nell’oscurità. Sogni, paure e speranze di coloro che vissero in quell’epoca sono le nostre. E l’insegnamento che Weimar pare lasciarci è di non dare mai per scontata la nostra felicità, di come la nostra libertà, la nostra democrazia e il nostro stato sociale possano tutto d’un tratto esserci strappati. E forse sembra ricordarci, in quegli spazi che separano gli attimi, che i giorni più belli e luminosi della nostra vita sono proprio quelli che non ci accorgiamo di vivere.


Fonti:

[1] Enciclopedia “La Storia” di Repubblica, 2004


Fonte immagine di copertina: Wikipedia

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