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  • Luca Battani

Israele | La piazza frena la riforma della giustizia, ma per Netanyahu non è ancora finita




Da diverse settimane una serie di proteste e manifestazioni stanno paralizzando la vita politica e sociale in Israele. Al centro della questione c’è la contestatissima riforma della giustizia proposta dalla maggioranza guidata dal premier Benjamin “Bibi” Netanyahu. Lo scorso 27 marzo, al culmine dell’ennesima ondata di manifestazioni, a cui si è sommato uno sciopero generale in risposta al licenziamento del Ministro della Difesa Yoav Gallant avvenuto nella giornata precedente, Netanyahu ha deciso di rimandare l’iter legislativo per la riforma del potere giudiziario alla seduta estiva della Knesset (il Parlamento israeliano), che riprenderà i lavori dopo la lunga chiusura per le festività ebraiche cominciate il 2 aprile. [1]


Il piano


La controversa riforma prevede un sostanziale ridimensionamento del potere della Corte Suprema israeliana, la quale svolge un’importantissima funzione di controllo e contrappeso nei confronti degli altri poteri, giacché Israele non è dotato di una costituzione formale o di una camera alta che garantiscano il rispetto dell’equilibrio e della separazione tra i poteri costituenti dello Stato. Se la riforma venisse approvata, la Corte perderebbe sostanzialmente la sua prerogativa di annullare tutti quegli atti che sono in aperto contrasto con le “leggi fondamentali” dello stato di Israele, ovvero le norme che tutelano i diritti civili, politici ed economici dei cittadini israeliani. I punti principali della riforma prevedono un forte accentramento del potere giudiziario nelle mani dell’esecutivo: il governo si riserverebbe di fatto un potere di nomina dei giudici pressoché illimitato, in aggiunta alla possibilità di ribaltare le decisioni dell’Alta Corte con un semplice voto di maggioranza (61 voti su 120) della Knesset. [2] Per questo motivo, da ormai tredici settimane, nei maggiori centri urbani israeliani decine di migliaia di persone sono scese nelle strade e nelle piazze per incalzare il governo e chiedere la cancellazione della riforma. Sebbene le manifestazioni non siano formalmente guidate da nessun leader, le opposizioni hanno da subito espresso il loro sostegno ai manifestanti, unendosi al coro di chi sostiene che la riforma stia mettendo in discussione l’ordinamento democratico del Paese e la sicurezza del popolo israeliano.

A queste voci si è unita con il passare dei giorni anche quella del Ministro della Difesa Yoav Gallant, dettosi fortemente preoccupato per la sicurezza del paese a fronte della diffusione della protesta tra i ranghi dell’esercito. Sono infatti migliaia i riservisti che si sono rifiutati di presentarsi all’addestramento, paralizzando intere divisioni, tra cui i reparti che prestano servizio nei territori palestinesi occupati e alcune divisioni dell’aeronautica israeliana. La risposta di Netanyahu è stata quella di allontanare Gallant, un gesto che è stato fortemente criticato non solo dalle opposizioni, ma anche da esponenti della stessa maggioranza di governo, oltre che dai principali osservatori internazionali. [3] Sono stati anche gli Stati Uniti a esprimere forti dubbi sulla scelta del premier, sollevando perplessità sulla sua capacità di fronteggiare questa delicatissima fase della politica israeliana e invitando il leader del Likud a raggiungere un veloce compromesso per ristabilire l’ordine nel Paese.


Il passo indietro


Una foto delle proteste a Tel Aviv | Foto REUTERS/Oren Alon

L’annuncio del 27 marzo con cui Netanyahu ha sospeso la riforma della giustizia è stato preceduto dunque da una serie di eventi che hanno contribuito a mettere in discussione la posizione già precaria del leader israeliano. [4] Il fattore che forse più ha determinato lo stop ai lavori è il malcontento che da settimane serpeggia tra i grandi manager del comparto high-tech israeliano, uno dei settori economici di punta del Paese. Inoltre, l’adesione allo storico sciopero generale dei colossi dell’agri-business, dei grandi gruppi commerciali, dell’aviazione civile e le preoccupazioni della Banca Centrale israeliana riguardo a un potenziale calo del 30% degli investimenti diretti esteri hanno sicuramente contribuito a logorare la tenuta del governo sulla riforma e ad aprire uno spiraglio per un negoziato parlamentare, accogliendo, tra gli altri, l’appello pervenuto dal Presidente Isaac Herzog, il quale ha espressamente esortato Netanyahu a sospendere la riforma in un discorso alla nazione tenutosi lo scorso 15 marzo. [5] La stessa posizione, sebbene con toni diversi, è stata ripresa dai ministri Barkat (Economia), Zohar (Cultura) e Chikli (Diaspora), i quali hanno pubblicamente sostenuto che le manifestazioni rappresentino un evidente sintomo della scollatura tra i cittadini e le istituzioni, sottolineando come sia compito del governo spiegare in modo chiaro e preciso perché la riforma della giustizia è necessaria per il Paese e di ricorrere al dialogo tra le parti per trovare una soluzione.


Ma se da un lato alcuni rappresentanti di governo appoggiano la decisione di Netanyahu, dall’altro il premier si trova letteralmente in ostaggio della parte conservatrice e ultranazionalista della sua maggioranza, l’ala ultraortodossa guidata dal ministro Ben Gvir (Sicurezza Nazionale), il quale ha ripetutamente minacciato di ritirare il suo (vitale) appoggio nel caso in cui la riforma dovesse definitivamente naufragare. [6] La motivazione risiede nella storica ostilità dei partiti religiosi nei confronti della Corte Suprema israeliana, colpevole di aver ordinato la ritirata dei coloni israeliani dalla striscia di Gaza nel 2005 e, in generale, di proteggere i diritti di proprietà dei palestinesi nelle cosiddette “terre irredente”. La riforma, caldeggiata dal ministro Yariv Levin (Giustizia), andrebbe a bypassare le tutele garantite dalla Corte al popolo palestinese, dando letteralmente carta bianca ai coloni israeliani per continuare a insediarsi in Cisgiordania ma anche a Gaza, archiviando definitivamente la soluzione dei due stati. Se dal punto di vista interno la riforma rischia di inasprire i toni del conflitto israelo-palestinese, la situazione al di fuori dei confini israeliani non è di certo più rassicurante. Nelle ultime settimane l’Iran ha iniziato a infiltrarsi nelle crepe aperte dalla crisi politica: le divisioni all’interno dell’esercito israeliano sono infatti terreno fertile per un’ipotetica offensiva iraniana, per cui lo stesso Netanyahu si è detto altamente preoccupato.


La sospensione della riforma è servita a riportare temporaneamente la calma nel paese, anche se, a detta di molti osservatori internazionali e delle opposizioni, la mossa di Netanyahu sarebbe tutt’altro che un sintomo di resa, quanto un’attenta strategia per guadagnare tempo in attesa di un clima politico più favorevole. [7] I sondaggi delle ultime settimane vedono infatti la posizione del premier ampiamente compromessa anche tra i suoi sostenitori, ulteriormente indebolita dal lungo processo per corruzione nei suoi confronti che va avanti da ormai quattro anni. Sebbene sia stato l’unico leader politico in grado di formare un governo più o meno stabile nell’ultimo quadriennio, la riforma della Giustizia si sta convertendo in un durissimo banco di prova per il carismatico Bibi, che si prepara ad affrontare una delle estati più calde della sua lunga carriera politica.


Fonte foto di copertina: AP


Fonti:

[1] Redazione, Oceaniche proteste in Israele, Netanyahu congela la riforma della Giustizia, Huffington Post, 27 marzo 2023. https://www.huffingtonpost.it/esteri/2023/03/27/news/netanyahu_assediato_manifestazioni_in_tutto_il_paese_contro_la_riforma_della_giustizia-11673558/

[2] Bethan McKernan, What are the Israeli protests about and what happens next?, The Guardian, 27 marzo 2023 https://www.theguardian.com/world/2023/mar/27/what-are-the-israeli-protests-about-and-what-happens-next

[4] Davide Frattini, Israele travolto dalle proteste, Netanyahu rinvia la riforma della giustizia, Corriere della Sera, 27 marzo 2023. https://www.corriere.it/esteri/23_marzo_27/israele-travolto-proteste-netanyahu-rinvia-riforma-giustizia-af0bca0c-ccd5-11ed-8f1e-2019226a677d.shtml?refresh_ce

[5] Claudia De Martino, Proteste Israele, la riforma giudiziaria non piace neanche ai colossi del commercio. Ecco perché, Il Fatto Quotidiano, 31 marzo 2023, https://www.ilfattoquotidiano.it/2023/03/31/proteste-israele-la-riforma-giudiziaria-non-piace-neanche-ai-colossi-del-commercio-ecco-perche/7113443/

[6] Fabio Scuto, Israele, si placano le proteste ma la crisi per Netanyahu non è finita. E il premier ricompensa l’ala estremista che lo minaccia, Il Fatto Quotidiano,28 marzo 2023, https://www.ilfattoquotidiano.it/2023/03/28/israele-si-placano-le-proteste-ma-la-crisi-per-netanyahu-non-e-finita-e-il-premier-ricompensa-lala-estremista-che-lo-minaccia/7111677/

[7] Redazione, Israele, non si fermano le proteste contro Netanyahu Il Sole 24Ore,28 marzo 2023, https://www.ilsole24ore.com/art/israele-non-si-fermano-proteste-contro-netanyahu-AErju3AD



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