Matteo Monaci
L’Italia s’è desta
Le cinque giornate di Milano

“Affratelliamoci nell’affetto della Patria. In voi segnatamente sta l’elemento del suo avvenire”
Giuseppe Mazzini
Milano, 18 Marzo 1848.
Il popolo insorge contro il giogo asburgico, la città intera è in tripudio. Nelle strade si combatte per la libertà e la democrazia e su ogni via si erigono barricate. È l’inizio di quelle che saranno ricordate come le Cinque giornate di Milano, destinate a entrare per sempre nella leggenda, ergendosi a simbolo della lotta risorgimentale.
Milano era allora capitale del Regno Lombardo-Veneto, appartenente all’Impero Austriaco. Il malcontento era assai diffuso tra la popolazione, che attendeva solo il momento giusto per sollevarsi contro gli oppressori. Già nei primi giorni dell’anno era sorta una protesta spontanea e pacifica che vedeva i milanesi rifiutarsi di fumare così che venissero danneggiate le entrate erariali provenienti dalla tassa sul tabacco. In risposta l’esercito austriaco aveva marciato sulla città costringendo con la forza i cittadini a fumare sigari. La popolazione aveva risposto lanciando pietre contro gli occupanti. Nel mentre l’Europa intera era in fermento e moti popolari scoppiavano a Vienna, a Budapest e a Berlino.
Per il 18 marzo venne indetta a Milano una manifestazione davanti al palazzo del governatore per richiedere l’abrogazione delle leggi che comprimevano la libertà di stampa e l’istituzione di una guardia civica agli ordini del comune di Milano, affinché si sostituisse agli austriaci nel vigilare sull’ordine pubblico. La protesta si tramutò presto in insurrezione, a cui il generale austriaco Radetzky rispose rintanandosi nel Castello Sforzesco e ordinando ai suoi uomini di cingere d’assedio la città e di sparare sui rivoltosi dai tetti degli edifici e dalle guglie del duomo. Per comunicare con l’esterno della città, gli insorti si videro costretti a utilizzare mongolfiere costruite sul momento, così da diffondere la notizia dell’insurrezione oltre le mura, nelle campagne. Gli astronomi sorvegliavano i movimenti degli austriaci dalle torri e dai campanili della città e gli impiegati del catasto si offrirono volontari come staffette. Furono erette 1700 barricate, le strade furono cosparse di ferri e di vetri. Trascorsi due giorni Radetzky si vide costretto a ordinare ai soldati di ritirarsi dai tetti e sulla guglia della Madonnina del duomo fu issato dai rivoltosi il tricolore italiano.
Gli insorti diedero vita ad un consiglio di guerra e ad un governo provvisorio, che fu posto sotto la guida del podestà di Milano Gabrio Casati. Essi si componevano principalmente di tre correnti: i repubblicani, che avevano come riferimento Giuseppe Mazzini, i riformisti democratici, guidati da Carlo Cattaneo, e i nobili, capeggiati dallo stesso Casati. Questi ultimi guardavano con favore al Regno di Sardegna e Piemonte, guidato da re Carlo Alberto di Savoia, affinché entrasse in guerra contro l’Austria per liberare Milano. Essi temevano infatti una deriva democratica del movimento rivoluzionario. Alla proposta di un armistizio da parte di Radetzky, tuttavia, i democratici si opposero e a cinque giorni dallo scoppio della rivolta la città passò interamente nelle mani degli insorti, anche grazie all’eroico gesto del calzolaio Pasquale Sottocorno, che incendiò la porta di palazzo del Genio, consentendo ai rivoltosi di prendere il controllo della città.
Intanto la rivolta divampava anche nelle campagne e i contadini si ribellavano alle truppe austriache. La presa di Porta Tosa, avvenuta il 22 marzo, segnò la vittoria degli insorti e costrinse gli austriaci alla ritirata. Geniale fu la strategia adottata su suggerimento di Antonio Carnevali, che era stato ufficiale nella guardia di Napoleone in occasione della campagna di Russia, il quale convinse i rivoltosi a utilizzare barricate mobili bagnate, al fine di evitare che venissero incendiate dal nemico. Intanto i moderati avevano preso il sopravvento, inviando un messaggero alla corte di re Carlo Alberto e chiedendone l’immediato intervento al fine di liberare Milano.
Il 6 aprile le note del Te Deum risuonarono dal Duomo, in memoria dei 424 patrioti caduti eroicamente in nome della libertà. In prima fila sedeva Luisa Battistotti Sassi, eroina dell’insurrezione, che avevo guidato le donne di Milano contro le truppe austriache. Le eroiche gesta dei cittadini di Milano si rivelarono tuttavia vane. Carlo Alberto uscì sconfitto dalla prima guerra di indipendenza e si vide costretto a lasciare Milano, che cadde nuovamente in balia degli austriaci, sotto lo sdegno della popolazione. Così tramontò l’impresa dei valorosi patrioti milanesi, ma il loro atto di coraggio non sarebbe stato mai più dimenticato, assurgendo per sempre alla gloria immortale.
A un secolo esatto dalla rivolta, la Repubblica Italiana avrebbe conferito alla città di Milano la medaglia d’oro al valor militare, in memoria delle Cinque giornate. Così come scriveva il poeta Ugo Foscolo nei Sepolcri, “A generosi giusta di gloria dispensiera è morte”. E quella Rivoluzione sarà ricordata nei tempi avvenire come la più eroica e la più morale dei secoli.
Fonti:
[1] Cinque giornate di Milano, Wikipedia, https://it.wikipedia.org/wiki/
[2] Enciclopedia La Storia edito da La biblioteca di Repubblica, 2004