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  • Immagine del redattoreMatteo Cardia

Cosa resta dopo l'11 settembre 2001


La mattina dell’11 settembre, a New York, c’è un uomo che cade dalla Torre Nord delle Twin Towers. Vuole sfuggire dalle fiamme e dai detriti e decide di lasciarsi andare nel vuoto. Richard Drew, fotografo professionista dell’Associated Press, poggia il dito sul pulsante e lascia che l’attimo comunichi l’inaspettato. Se una foto ha il potere di influenzare il futuro immortalando il passato, The Falling Man [1] ne è la conferma: da quella mattina statunitense di vent’anni fa il mondo è cambiato e spesso ci è sembrato stesse continuando a cadere, proprio come quell’uomo sospeso che decise di affrontare il vuoto per salvare la sua vita.


Vent’anni è un breve tempo storico, ma non lo è stato nella vita delle persone. L’undici settembre 2001 ha cambiato radicalmente la vita di tutti, vecchie, nuove e future generazioni, in tutte le parti del mondo. Un mondo che dopo la fine degli anni ’90 sembrava destinato ad essere visto sotto una lente diversa, dopo più di quarant’anni di Guerra Fredda e la fine del bipolarismo. Per qualcuno era addirittura finita la storia [2], per altri invece sarebbero state le civiltà ad affrontarsi per una necessità quasi naturale [3].

Pensieri e previsioni si scontrarono con la complessità di una realtà che si era già manifestata altrove nel mondo, lontana da New York, tra i Balcani, l’Africa Saheliana e Orientale [4] e l’Asia, e che si era fatta incredibilmente veloce, interconnessa. Una goccia nell’oceano che ha cominciato ad avere effetti, fino a creare un’onda distruttrice che ha portato via 2606 persone solo nell’attacco alle torri che delineavano lo skyline di Manhattan, altre 246 persone nei quattro aerei dirottati e 125 al Pentagono. [5]

Il ricordo dei grattacieli che crollano è rimasto impresso nella mente dei potenti e dei comuni cittadini. Ha fatto nascere il terrore, la rabbia e ha accelerato la presa di decisioni che sarebbero dovute appartenere al futuro e non a quel presente. Tutti ricordiamo quel momento, ma diventa difficile racchiuderne gli effetti.

Quello più evidente rimane l’intervento militare statunitense in Afghanistan. Unilaterale, senza aspettare nessun fedele alleato se non i britannici. Intervento che l’ONU ha dovuto rincorrere e che sull’onda dell’emozione di quel settembre portò il mondo a pensare che fosse cosa buona e giusta compierlo. Tra i dirottatori degli aerei nessun afghano, ma i talebani oggi tornati al potere, quelli che avevano conquistato Kabul nel 1996, che avevano dato casa ad Al-Qaida e a Osama bin Laden, mente del fondamentalismo islamico radicale internazionale insieme al “dottore” al-Zawahiri.


Il rovesciamento del regime talebano non ha significato la fine di bin Laden e della sua organizzazione. Anche perché poi, due anni dopo, è stato il turno dell’Iraq, con le prove false spacciate in sede di Consiglio Sicurezza ONU e le prime avvisaglie di discordanza tra governo USA e Paesi europei. Una situazione di continua tensione interna e di interventismo forte inteso a testimoniare la grandezza degli Stati Uniti rispetto al mondo intero. Nel frattempo, e nel vicino futuro, qualcuno e qualcosa però è cresciuto: la Cina è diventata grande, grandissima; la Russia ha ricercato la sua parziale rivincita senza badare al suo avversario di sempre se non nel momento in cui si allargava la NATO; si sono irrobustite le potenze regionali e sono nati nuovi conflitti, per procura e non. Anche il terrorismo di matrice islamista è cambiato: si è indebolito, diviso; sono nate branche differenti e quasi autonome in altri continenti come Al-Shabaab in Somalia e Boko Haram in Nigeria; è nata l’idea del califfato dalla mente di Abu Bakr al-Baghdadi e l’ISIS ha preso forma liquida e statale seminando il panico ovunque potesse espandersi. Il ciclo sembra essersi chiuso con la riconquista del potere da parte dei talebani in Afghanistan: un duro colpo all’idea di internazionalismo promulgata da bin Laden, dai suoi successori e dai suoi avversari, ma che non ha lo stesso significato della parola fine. [6]

Ha preso forza anche chi in Europa e non solo ha visto le mani tese e l’integrazione come pericolo: le stragi di Utoya [7] e di Christchurch [8] ne sono due chiari esempi.


Di quella mattina e di tutti gli effetti seguiti, rimane l’impatto su degli attori che comunemente diventano numeri ma che sono fatti di storie: le persone. Due gli esempi più rilevanti: da una parte le migliaia di persone che hanno continuato a soffrire, ammalandosi a causa delle polveri inalate e traumatizzate da ciò che avevano vissuto; dall'altra le migliaia di vittime civili degli interventi militari, esterni e non. [9] Solo negli ultimi vent’anni si sono conosciuti almeno cinque conflitti su larga scala: Afghanistan, Iraq, Libia, Siria, Yemen. Ma è nel terrore giustificato vissuto da tanti dopo quel giorno, a qualunque latitudine, che si è annidato il piccolo mostro del pregiudizio: lo hanno capito milioni di musulmani, guardati ancora con sospetto nella loro vita di tutti i giorni; lo hanno capito i milioni di migranti che un mondo ineguale e un’ambiente sempre più inospitale ha contribuito a creare, visti come potenziale pericolo più che come esseri umani alla ricerca di nuove opportunità.

L’impatto culturale nella vita delle persone ha dato una direzione anche a coloro che non hanno conosciuto quel giorno. Li ha in un certo modo educati alla diffidenza, come se esistesse soltanto quello schianto, quella caduta, quel frame, ignorandone il prima e il dopo. Un qualcosa che solo la possibilità di essere giovani e curiosi, di poter studiare e conoscere, può contrastare.

Continuare a credere in un mondo aperto, libero e coglierne allo stesso tempo problemi e ingiustizie sociali è la migliore risposta a quello accaduto vent’anni fa e al paventamento di differenze insormontabili e di convivenze impossibili, nel rispetto della diversità. Aspirare a un mondo di pace non deve essere un’utopia ma un obiettivo, in contrasto con un mondo che continua ad armarsi e a spendere nel settore militare. [10]


Prima dell’undici settembre 2001 il mondo era già cambiato, diversamente però da quanto sembrava dire la patina dorata degli anni Novanta. All’improvviso ci si è accorti del resto del mondo e di come si potesse soffrire anche dove non ci si aspettava. Di come si dovesse necessariamente guardare indietro e avanti in un contesto in cui l’incertezza era diventata compagna fedele. Nella tragedia ingiusta che ha segnato i ricordi tutti e dove migliaia di persone hanno perso la vita, c’era una piccola opportunità di comprendere le condizioni di tanti altri lontani dal nostro di mondo. Non si è riusciti completamente a coglierla, com’è stato dimostrato dagli avvenimenti dell’ultimo mese tra le montagne afghane, dove il tempo appare sospeso tra un ritorno a un vecchio regime oscuro e la voglia di libertà delle donne di Kabul. Sospeso come quell’uomo fermato dall’obiettivo della macchina fotografica, in un’eterna caduta che sembra testimoniare la difficoltà a comprendere un mondo che continua a correre, senza la possibilità di fermarlo in un frame.


Fonti:

[1] The falling man, Wikipedia https://it.wikipedia.org/wiki/The_Falling_Man [2] Fine della storia, Wikipedia https://it.wikipedia.org/wiki/Fine_della_storia [3] Lo scontro delle civiltà, Wikipedia, https://it.wikipedia.org/wiki/ [4] James C. McKinley, Two U.S. Embassies in East Africa Bombed, New York Times Archive, https://archive.nytimes.com/www.nytimes.com/library/world [5] Alberto Magnani, 11 settembre 2001, cosa è successo (e perché) nell’attacco alle Torri Gemelle, Il Sole 24ore, 9 setembre 2021,

https://www.ilsole24ore.com/art/11-settembre-2001-cosa-e-successo-e-perche-nell-attacco-torri-gemelle-AE2CaEg?refresh_ce=1 [6] Hassan Hassan, What the global war on terror really accomplished, New Lines Magazine, 9 settembre 2021, https://newlinesmag.com/argument/what-the-global-war-on-terror-really-accomplished/ [7] Redazione, 22 luglio 2011, le stragi di Oslo e Utoya. Dieci anni dopo il mostro non si pente, Rai News, 22 luglio 2021,

[9] F.Q., 11 settembre, gli effetti sui sopravvissuti: a 20 anni di distanza in 25mila hanno patologie fisiche e mentali legate all’attentato, il fatto Quotidiano, 9 settembre 2021, https://www.ilfattoquotidiano.it/

[10] Trends in World Military Expenditure 2020, Sipri, Diego lopes Da Silva, Nan Tian and Alexandra Marksteiner


Foto in copertina: New York, 11 settembre 2001, Andrew Lichtenstein, Corbi/Getty Images, pubblicata da Internazionale

Foto 1: The Falling Man, Richard Drew, Wikipedia

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