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  • Lorenzo Pucci e Victoria Atzori

Santa Maria Capua Vetere: la necessità di un cambiamento


Quando si parla di carcere in Italia, spesso ci si dimentica come il nostro sistema funzioni, o meglio come questo dovrebbe funzionare. Il terzo comma dell’art.27 della Costituzione recita: “Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso d’umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato” o in parole povere, accanto all’aspetto punitivo della pena deve affiancarsi un aspetto rieducativo. [1]

All’interno del carcere di Santa Maria Capua Vetere, nell’aprile del 2020, la Carta costituzionale è stato dimenticata e ora si chiede giustizia.


Nella primavera dello scorso anno, all’interno del penitenziario scoppiò una rivolta in seguito alla positività al COVID di un detenuto; in parallelo ci furono numerose proteste in altre carceri italiane iniziate per via delle limitazioni alle visite, sospese come parte delle regole di contrasto alla pandemia, e per il sovraffollamento delle carceri, che rappresenta un rischio per la salute dei detenuti. [2]

Il 7 aprile, giorno dopo le proteste a Santa Maria Capua Vetere, si è consumata quella definita dal Gip come un’orribile mattanza ai danni dei detenuti, che ha coinvolto un centinaio di agenti penitenziari tra interni e alcuni inviati nel carcere per controllare la situazione. [3]


Non ci soffermeremo sui pestaggi e sugli atti violenti compiuti dagli agenti, sono sufficienti le immagini e la reazione avuta dalla Guardasigilli Marta Cartabia, che di fronte alla Camera ha definito queste scene una violazione della Costituzione. [4] È tuttavia doveroso ricordare che si tratta dell’ennesimo caso di abuso di potere, che si affianca a casi come quello del G8 di Genova in cui vent’anni fa sono stati violati i diritti umani da coloro che, in quel momento, rappresentavano lo Stato.

Se oggi gli agenti campani possono essere accusati di aver commesso il reato di tortura lo dobbiamo anche fatti di Genova, che, seppur con tanti anni di ritardo, hanno portato a un cambiamento radicale; i fatti di Santa Maria Capua Vetere potrebbero fare altrettanto, o almeno, questo è quello che crede Draghi, che durante la sua visita al carcere campano ha affermato che il nostro sistema penitenziario ha dei problemi che possono essere risolti solo attraverso delle riforme. [5]


Quali Riforme? Reato di tortura e Codice Identificativo

Il lavoro svolto dall’associazione Antigone, che si sta occupando di ben 18 casi di abusi di potere e di morti avvenute all’interno delle carceri italiane tra il 2011 e il 2020, conferma la crisi interna del sistema penitenziario italiano, in cui i fatti campani non sono isolati. [6] Uno dei problemi più gravi riguarda l’abuso di potere. Ma come viene punito?

Il reato di tortura, che ha rappresentato una svolta storica all’interno del nostro ordinamento, è anche la rappresentazione delle lacune del nostro stesso sistema. L’Italia firmò la Convenzione contro la Tortura (CAT), con la quale si impegnava a inserire provvedimenti volti a punire e vietare la tortura, nel 1989, ma ci sono voluti circa trent’anni e multe dall’Unione Europea prima che una legge venisse promulgata a riguardo. [7] Il reato tortura non solo è stato inserito in ritardo, ma al momento risulta quasi inutilizzabile nell’abito del contrasto agli abusi di potere: come si può imputare un reato se il reo non è identificabile? Prendiamo per esempio i fatti di Santa Maria Capua Vetere: sono stati ripresi decine di agenti penitenziari, ma per alcuni di loro non è stato possibile procedere all’identificazione a causa di caschi e mascherine che ne coprivano il volto. [8] Una misura che, in passato come oggi, avrebbe fatto la differenza è quella dei codici identificativi: basterebbe infatti una sequenza alfanumerica, che può essere apposta in diverse parti della divisa, purché sia leggibile, per l’identificazione. [9]


Il 12 dicembre del 2012 una risoluzione del Parlamento Europeo esortava gli stati UE a dotare il personale delle forze dell’ordine di codici identificativi. Una soluzione già adottata nella maggioranza degli Stati, di cui però l’Italia non fa parte nonostante le pressioni europee e non solo. Amnesty International sostiene che i codici sarebbero un elemento importante di accountability, un messaggio importante di trasparenza che farebbe crescere la fiducia della popolazione nei confronti delle forze dell’ordine e allo stesso tempo mostrerebbe la volontà delle stesse di rispondere delle proprie azioni quando dovuto. [10]

Tuttavia il dibattito sulla questione è talmente polarizzato da diventare tabù. Il sindacato “FSP Polizia di Stato” in un comunicato ha espresso la sua ostilità verso un provvedimento del genere, sostenendo che l’inserimento di eventuali codici minerebbe la sicurezza degli agenti che operano sul campo.[11]


Una questione di civiltà e di diritti

Il 15 dicembre si è svolta l’udienza sui fatti di Santa Maria Capua Vetere, una data molto vicina alla giornata mondiale dei diritti umani, il 10 dicembre. Questa vicinanza è casuale, ma non può lasciare indifferenti, specie se si pensa che non si sta parlando di un caso isolato, ma di un sistema che ha bisogno di profondi cambiamenti.


Reato di tortura e codici identificativi sono mezzi utili, innovazioni necessarie che però da sole potrebbero non bastare. Quando una persona varca le porte di un carcere non smette di avere dei diritti. In questo periodo si parla tanto di Summit delle democrazie, di requisiti per essere considerati una democrazia, ma come ha ricordato in passato Gino Strada, riferendosi alla Dichiarazione Universale dei Diritti Umani e alla sua sezione dedicata ai detenuti, “A 54 anni dalla prima firma non c’è un paese che abbia messo in pratica tutti gli articoli che ha firmato”. [12]


Serve però anche un cambiamento nel modo di raccontare queste vicende. Spesso il giornalismo si perde nei numeri e nel descrivere in modo dettagliato e approfondito le violenze, dimenticando, implicitamente e non, che si parla sempre di persone la cui dignità umana è stata calpestata e non di cifre numeriche senza alcuna importanza.


Fonti:

[1] A. Marzigno, La funzione rieducativa della pena nel nostro ordinamento, diritto.it, 18 febbraio 2020, https://www.diritto.it/la-funzione-rieducativa-della-pena-nel-nostro-ordinamento/

[2] Redazione, Coronavirus, rivolte nelle carceri, sette i detenuti morti a Modena. Nove ostaggi a Melfi, liberati nella notte, la Repubblica, 09 marzo 2020, https://www.repubblica.it/cronaca/2020/03/09/news/

[3] A. Pollice, S. Maria Capua Vetere, un <<orribile mattanza>> ai danni dei detenuti, Il Manifesto, 29 giugno 2021, https://ilmanifesto.it/una-orribile-mattanza-ai-danni-dei-detenuti-di-s-maria-capua-vetere/

[4] L. Milella, Cartabia: Violenza a freddo, indagine su tutte le carceri della rivolta, la Repubblica, 21 luglio 2021, https://www.repubblica.it/politica/

[5] Redazione, Draghi in visita al carcere di Santa Maria Capua Vetere: “Sistema da riformare, non c’è giustizia dove c’è abuso”, La Stampa, 14 luglio 2021, https://www.lastampa.it/politica/2021/07/14/news/

[6] M. Rizzo, Carceri, oltre Santa Maria Capua Vetere: l’Associazione Antigone segnala i 18 processi in corso per abusi e morti in altri Istituti di pena, la Repubblica, 18 luglio 2021, https://www.repubblica.it/solidarieta/diritti-umani/2021/07/18/news/

[7] C. Mele, Il ‘crimine del potere’: il reato di tortura nell’Italia di oggi è una conquista recente, AMIStadeS, 18 maggio 2021,

[8] R. Sardo, Santa Maria Capua Vetere, il carcere delle violenze, la Procura chiude le indagini per 120 indagati, la Repubblica - Napoli, 09 settembre 2021, https://napoli.repubblica.it/cronaca/2021/09/09/news/

[9] Codici identificativi – le domande frequenti, Amnesty International Italia, https://www.amnesty.it/codici-identificativi-le-domande-frequenti/

[10] Redazione, Codici identificativi subito, Amnesty International Italia, https://www.amnesty.it/appelli/inserire-subito-i-codici-identificativi/

[12] G. Strada, Buskashì, Viaggio dentro la Guerra, Universale Economica Feltrinelli 2021, p. 171


Fonte foto di copertina: PS News

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