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  • Francesco Serra

Sardi venales: perché Cicerone ce l’aveva tanto col popolo sardo?


Come avevamo già accennato nel nostro precedente articolo incentrato sulla figura di Atilia Pomptilla[1], la Sardegna in età romana era concepita sostanzialmente secondo due aspetti. Da una parte, l’isola era considerata senza dubbio un punto geografico strategico collocato esattamente al centro del Mediterraneo Occidentale, molto vicina sia a Roma sia a Cartagine e pertanto capace di fare da “ponte” fra Penisola Italica, Nord Africa e Penisola Iberica; tuttavia il vero punto di forza dell’isola stava nella presenza densissima di risorse minerarie, anche di metalli preziosi, tant’è che i greci erano soliti menzionare la Sardegna come argyròphleps nèsos, ossia “l’isola dalle vene d’argento”, dunque una terra in cui da questo punto di vista risultava conveniente investire. D’altra parte però, essa non godeva generalmente di una buona reputazione, poiché, di contro alle abbondanti risorse minerarie, vi era una consistente presenza di aree paludose che rendevano molte zone insalubri e poco coltivabili, specialmente se paragonate alle coltivazioni di tante altre province dell’Impero; ma soprattutto era infestata nelle zone interne dalla popolazione nota alle fonti come Ilienses, discendenti dei nuragici e strenui difensori dei loro valori arcaici in contrapposizione al processo di “civilizzazione” imposto dai dominatori romani, i quali probabilmente non riuscirono mai a sottomettere del tutto, almeno culturalmente, questa “barbarica” resistenza (il nome della Barbagia deriva appunto da questo modo di chiamare gli Ilienses da parte dei romani). La presenza stessa delle miniere, inoltre, favorì l’apporto nell’isola di numerosi schiavi, prigionieri e sovversivi condannati ai lavori forzati, cosa che di certo non giovava alla sua già compromessa reputazione.

Quest’ultima visione della Sardegna purtroppo sembra che sia stata quella maggiormente trasmessa dalla letteratura antica. Così per molti secoli, persino ben oltre l’epoca romana, i suoi abitanti vennero visti come un popolo selvaggio, culturalmente arretrato e problematico, specialmente a causa dell’opinione che diffusero storiografi e personaggi illustri quali Marco Tullio Cicerone, forse colui che ebbe la peggiore considerazione sui sardi. Come attestano i suoi stessi scritti, egli fu decisamente lapidario verso i sardi, sfruttando diverse occasioni per schernirli. Lo si capisce quando parla ad esempio del cantante cagliaritano Tigellio definendolo come un uomo “più pestilenziale della sua terra” e “pezzente che si atteggia da signore”[2].

In particolare si coglie questa idiosincrasia verso i sardi quando nel 54 a.C. Cicerone fu chiamato per pronunciare un’orazione in difesa di Marco Emilio Scauro, governatore della Sardegna fino all’anno prima, accusato dal popolo di avvelenamento, istigazione al suicidio, corruzione e abuso di potere[3]. Malgrado le pesanti accuse (fra l’altro attendibili), riuscì comunque a far assolvere il suo assistito, facendo leva sulla presunta natura malevola dei sardi, i quali furono da lui definiti bugiardi e traditori, un popolo “inacidito”[4]in quanto discendente dagli “ingannatori” Fenici stanziati in Africa (non a caso l’appellativo afer venne più volte impiegato come sinonimo di sardus, dato che la Sardegna fu geograficamente e culturalmente vicina alla popolazione punico-libica)[5], e perciò risultava sconveniente prestare ascolto alla loro parola. Anzi, proprio in tale occasione Cicerone fece coniare l’infelice seppur celebre espressione gergale Sardi venales, che significa “Sardi (buoni solo) da vendere (come schiavi…)”[6].


“E allora, dal momento che nulla di puro c’è stato in questa gente nemmeno all’origine, quanto dobbiamo pensare che si sia inacidita per così tanti travasi?”


M. Tullio Cicerone, orazione Pro Scauro, 19, 42.

Insomma, risulta assai palese che il celeberrimo oratore non provasse simpatie verso i sardi, e di conseguenza, non a torto, nemmeno i sardi le provarono per lui, viste le vicende giudiziarie.

Ma tutto questo astio nei confronti del popolo sardo da parte di Cicerone era veramente dovuto a pure questioni razziali, oppure vi erano nascoste motivazioni più complesse?

Premesso il fatto che i romani (e non solo) avessero una visione del mondo in cui vivevano tendenzialmente “etnocentrica”, va precisata la posizione che ricoprì Cicerone in una realtà socio-politica come quella della Roma durante il tramonto dell’epoca repubblicana e quindi all’indomani delle guerre civili che videro come protagonisti Cesare e Pompeo. Egli era prima di tutto un avvocato che spesso cercò di coniugare la sua professione alla carriera politica, pertanto le sue orazioni a favore, o contro, precisi individui di spicco furono determinanti per la sua ascesa alle più alte cariche. Inoltre, fu un membro del Senato appartenente alla fazione degli Optimates, che potremmo definire come una sorta di partito “conservatore” con un’idea di governo prettamente aristocratica e attaccata ai tradizionali valori romano-repubblicani. Gli stessi valori che però vennero messi in discussione da personaggi come Giulio Cesare, il quale appunto era schierato dalla parte dei Populares, ossia la fazione sempre aristocratica che tuttavia faceva più apertamente gli interessi del popolo (n.d.a.: si badi bene, per quanto a questo punto venga naturale fare paragoni odierni, Optimatese Populares non hanno nulla a che vedere con i partiti dei Repubblicani e dei Democratici degli Stati Uniti d’America). Ormai è chiaro che i due fossero più che rivali sullo scacchiere politico dell’epoca, dunque per Cicerone risultava strategico o persino doveroso lanciare invettive contro chiunque fosse schierato dalla parte di Cesare.

Tornando alla Sardegna, ricordiamo attraverso un altro nostro articolo[7] che Tigellio era amico strettissimo di Cesare e da lui apprezzato per le sue doti, al contrario di Cicerone, che disprezzò il cantante per tali motivi, primo fra tutti il rapporto mantenuto con l’avversario politico.

Più in generale possiamo dire che la provincia sarda nel I secolo a.C. simpatizzasse per il partito dei Popularese fosse, per così dire, “filocesariana”, forse come conseguenza dei malcontenti sociali e politici indotti da diversi governatori provenienti dai ceti elitari quali Scauro che facevano i loro interessi a danno dei cittadini. Non a caso allo scoppio delle guerre civili nel 49 a.C. la Sardegna si schierò apertamente dalla parte di Cesare, fornendogli pure un consistente appoggio logistico durante le operazioni militari in Africa[8].

Dunque, sebbene il celebre oratore nutrisse effettivamente un disprezzo di stampo etnico verso gli antichi sardi, sicuramente ad alimentarlo ci furono le dinamiche politiche di un’epoca tanto delicata quanto determinante per la storia umana, di cui la Sardegna fu parte integrante.

[1]https://www.toctocsardegna.org/post/atilia-pomptilla-una-tragica-eroina-nella-cagliari-romana. [2]Cic. Ad familiares, VII, 24. [3]E. Pais,Storia della Sardegna e della Corsica durante il dominio romano, a cura di Attilio Mastino, V. I, Ilisso Edizioni, Nuoro, 1999, pp. 74-75, [4]Cic. Pro Scauro, 19, 42. [5]A. Mastino, La Sardegna al centro del Mediterraneo- La Sardegna provincia romana: l’amministrazione, in Corpora delle antichità della Sardegna: La Sardegna Romana e Altomedievale, Storia e materiali, a cura di S. Angiolillo, R. Martorelli, M. Giuman, A. M. Corda, D. Artizzu, Carlo Delfino Editore, 2017, pp. 17-32. [6]In realtà l’espressione latina ebbe origine a seguito delle operazioni militari compiute in Sardegna dal proconsole Tiberio Sempronio Gracco (padre dei più celebri fratelli Gracchi) nel 177/176 a.C., in cui vennero sconfitti e fatti prigionieri migliaia di sardi, ma la sua accezione negativa fu comunque introdotta da Cicerone. [7]https://www.toctocsardegna.org/post/t-rapsod%C3%ACa-la-musica-di-oggi-vista-dalla-prospettiva-degli-antichi. [8]A. Mastino, La Sardegna al centro del Mediterraneo- La Sardegna provincia romana: l’amministrazione, in Corpora delle antichità della Sardegna: La Sardegna Romana e Altomedievale, Storia e materiali, a cura di S. Angiolillo, R. Martorelli, M. Giuman, A. M. Corda, D. Artizzu, Carlo Delfino Editore, 2017, pp. 17-32.

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