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  • Immagine del redattoreMatteo Cardia

Ucraina | Da cronisti a reporter di guerra, tra vocazione e necessità




La guerra ha il potere di stravolgere la realtà. La modella a suo piacimento, dominando lo spazio e il tempo in un mix di sentimenti contrastanti che è difficile da discernere.

Un anno fa l’inizio dell’invasione dell’Ucraina cambiava il corso della quotidianità di milioni di ucraini. Anche i lavori sono così cambiati, compreso il giornalismo e di conseguenza chi lo declina nei suoi differenti aspetti. Cosa, chi, come, quando, perché: le cinque domande basilari per costruire un prodotto giornalistico sono diventate le fondamenta della testimonianza di ciò che accadeva lontano ma così nuovamente apparentemente vicino all’Europa. Ma anche il motivo per cui diverse vite sono andate perse.


I pericoli

Il 2022 è stato l’anno in cui più giornalisti e lavoratori del settore sono stati uccisi, con un aumento del 50% delle vittime rispetto al 2021. Su sessantotto reporter morti nell’ultimo anno, quindici hanno perso la vita in Ucraina, il Paese con il numero più alto secondo quanto riportato dal Committee to Protect Journalist. [1] La prima vittima è stata registrata appena due giorni dopo l’inizio della guerra, il 26 febbraio: Ihor Hudenko, freelance, si trovava a Kharkiv, una delle zone a più alto rischio dell’intero Paese. [2]

Il calcolo rimane però parziale, perché le informazioni nei luoghi di conflitto non sono mai totali. Ma il caso di Hudenko potrebbe dire già due cose. Tanti giornalisti ucraini si sono dovuti reinventare da un giorno all’altro cronisti di guerra. Ma quello di un conflitto è un terreno in cui le regole di ingaggio con il proprio mestiere cambiano sensibilmente. I rischi crescono e la modalità di lavoro si modifica: la costruzioni di una rete di contatti e la presenza di una o più persone fidate al proprio fianco diventano basilari per non incorrere in errori che possono costare caro. Le reti, però, si costruiscono con il tempo, che la guerra toglie e non rende. Tempo e possibilità che molto spesso diventano ancora più risibili per freelance senza esperienza nello specifico settore, ma che nella possibilità di essere parte del racconto hanno provato a cambiare in corsa l'approccio alla professione.


L’importanza del lavoro sul campo

Il lavoro sul campo resta il punto fondamentale nella narrazione di un conflitto. Lo dimostrano non solo i lavori dei giornalisti ucraini o dei media indipendenti russi, ma anche la presenza di migliaia di professionisti arrivati da più parti del mondo. Gli occhi, la voce e gli scritti dei giornalisti o di coloro reinventatisi citizen journalist, sono diventati cruciali in più occasioni, come ad esempio nei casi dei massacri di Bucha [3] o Kramatorsk [4].

Come accade ormai da anni, i giornalisti che operano in teatri sensibili sono freelance. L’apporto di coloro che lavorano in maniera autonoma, per scelta ma anche per il quadro offerto dal mercato del lavoro, è e resta fondamentale per coprire zone lontane da quelle di riferimento dei principali organi di informazione. Un modus operandi che consente al committente un risparmio sui costi, per via della mancanza di un contratto vero e proprio, e all’esecutore la possibilità di avere più lavori ma meno protezione dal punto di vista salariale, assicurativo e non solo. Una situazione che ha portato, anche in Italia, ad appelli su una eventuale assunzione a tempo dei freelance o a varie iniziative di sostegno finanziario diretto proprio verso la categoria. [5] [6]


Maglie strette

A un anno dal conflitto però i pericoli non sono arrivati solamente dal fronte, ma dalle maglie sempre più stringenti imposte dai governi e dalle loro propagande. Il caso più evidente è quello russo, con riviste e siti online come Novaya Gazeta, diretta dal premio Nobel Muratov, o il network Meduza, che hanno subito forti pressioni per i propri lavori, fino, nel primo caso, alla sospensione delle pubblicazioni. Ma anche sul lato ucraino le difficoltà sono evidenti e causate da una situazione confusionaria che è propria di un conflitto.

A rimanere vittime di questo contesto sono stati anche tre giornalisti italiani: Andrea Sceresini e Alfredo Bosco, al momento entrambi bloccati a Kiev e privati del proprio accredito stampa, e Salvatore Garzillo, a cui è stato negato l’accesso al Paese lo scorso 14 febbraio. I servizi segreti ucraini (Sbu) non hanno fornito spiegazioni a Sceresini e Bosco, ma la motivazione potrebbe essere legata al lavoro dei due nei territori delle cosiddette repubbliche separatiste ucraine negli anni precedenti, motivazione per cui Garzillo è stato inserito in una blacklist stilata dalla Sbu. [7] Esperienza simile a quella vissuta precedentemente da un altro giornalista italiano che lavora per la Rai, Lorenzo Giroffi. [8]

Fatti e situazioni che complicano e ledono un diritto di cronaca da proteggere da ogni tipo di attacco.


Fonti:

[1] Jennifer Dunham, Deadly year for journalists as killings rose sharply in 2022, Committee to Protect Journalist, 24 gennaio 2023, https://cpj.org/reports/

[2] Redazione, Ihor Hudenk, Committee to Protect Journalist, https://cpj.org/data/people/ihor-hudenko/

[3] Redazione, Inchiesta su un massacro: i responsabili dei crimini di Buca, Internazionale/New York Times, 19 gennaio 2023, https://www.internazionale.it/video/

[4] Redazione, Death at the Station: Russian Cluster Munition Attack in Kramatorsk, Humans Right Watch e Situ Research, https://www.hrw.org/video-photos/interactive/

[5] Redazione, Assumete i giornalisti freelance al fronte, Prima Online, 22 marzo 2022, https://www.primaonline.it/

[6] Raffaella Menichini, Media a caccia di contenuti: lo sfruttamento di giornalisti e cittadini ucraini, Valigia Blu, 2 marzo 2022, https://www.valigiablu.it/ucraina-giornalisti-freelance/

[7] Redazione, Giornalisti italiani, la censura del governo ucraino, Il Manifesto, lunedì 20 febbraio 2023, https://ilmanifesto.it/

[8] Andrea Sceresini, Alfredo Bosco, Giornalisti italiani bloccati e «censurati» dalle autorità ucraine, Il Manifesto, 17 febbraio 2023, https://ilmanifesto.it/

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