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  • Paolo Falqui

Perché il calcio è lo sport più popolare al mondo?


La finale di Champions League tra Manchester City e Inter di sabato 10 giugno sarà sicuramente un evento mondiale. Guardando i precedenti, le finali degli ultimi anni si sono assestate sui 160 milioni di spettatori a livello globale (sul livello della Super Bowl, che però conta una media di 100 milioni solo negli Stati Uniti) [1], un numero impressionante, che comunque impallidisce al confronto del miliardo e mezzo di persone che ha visto il trionfo argentino nella finale del mondiale 2022, numeri che lo pongono come il singolo evento sportivo più visto del pianeta. [2]

Il calcio si conferma così come lo sport più seguito al mondo, quello più popolare, capace di unire il pianeta. Ma perché proprio il calcio e non altri sport?

Storia e tradizione

Quando ci approcciamo a provare a dare la spiegazione del successo c’è una doverosa premessa da fare: oltre a tutte le caratteristiche che ne spiegano il gradimento vi è un parametro intangibile che fa la differenza tra un ottimo prodotto/spettacolo e un vero e proprio fenomeno di massa, ovvero il tempismo. Il calcio come sport (ma è un discorso che si può applicare a qualsiasi successo enormemente popolare, da Despacito nella musica a Harry Potter nella letteratura, per fare due esempi distanti tra loro) ha saputo intercettare lo “spirito del tempo”, come direbbe Hegel, arrivando nel momento giusto e nel posto giusto; è una giustificazione quasi mistica, che tuttavia ha un grande impatto nel distinguere tra cosa diventa costume e cosa rimane un passo indietro seppur apprezzato e magari con caratteristiche simili. Soprattutto dopo le guerre mondiali, il calcio fu uno dei simboli della rinascita europea, grazie alla sua natura popolare e fortemente territoriale, che mettendo contro città e nazioni si presentava come una esorcizzazione inconscia della guerra, rappresentata attraverso un gioco inoffensivo. Se ciò può spiegare l’esplosione di popolarità del calcio, il culto della tradizione ne spiega, in parte, il suo conservarsi: la passione viene tramandata di generazione in generazione attraverso riti di iniziazione tra genitori e figli (ricordo ancora benissimo la prima volta che mio padre mi portò allo stadio, e avrò avuto 5 anni, nda). Oggigiorno, la conquista di nuovi mercati come Africa e Asia da parte delle grandi leghe, passa soprattutto da idee di mercato e investimenti, ma non è cosi scontato che vadano bene (come per esempio successo al football americano nel suo tentativo di sbarcare in Europa). [3]


Accessibilità e "democrazia"

Uno dei punti forti del calcio è la sua facile replicabilità: non c’è bisogno di particolari strumenti (come ad esempio nel tennis o nel golf) né di un campo da gioco regolamentare, è sufficiente un pallone (o qualsiasi cosa assomigli a sfera) e due aree delimitate come porte (due alberi, due ciabatte, il portone di qualche vicino). Le stesse regole del gioco del calcio, ridotte alle basi, sono in realtà molto semplici, senza giocate particolarmente codificate che permette a chiunque di cimentarsi con esso. In aggiunta è uno sport dove la struttura fisica conta relativamente: persone alte, basse, resistenti, agili o anche con poca corsa possono essere ugualmente utili in una squadra, rendendolo uno sport veramente “democratico” in tal senso, soprattutto se comparato con sport come il basket o la pallavolo dove l’altezza in primis è una discriminante fondamentale.


Legame con il territorio e riscatto sociale

Abbiamo accennato alla dimensione territoriale del calcio, che a differenza delle franchigie tipiche degli sport americani si fonda sull’appartenenza a una città o una nazione. Se è vero che oggi il tifo è diventato globalizzato e meno legato alla posizione geografica, d’altra parte il tifo locale è ancora preponderante soprattutto per quel 99% di squadre che non hanno una dimensione internazionale. L’identificazione tra il tifoso e la squadra della sua città riporta all’Inghilterra del primo Novecento e il legame tra comunità operaie e squadre di calcio, che ammanta ancora le rivalità inglesi di profondi significati politico-sociali (l’esempio perfetto è il derby di Glasgow tra gli immigrati irlandesi cattolici del Celtic e i nativi scozzesi protestanti dei Rangers); in questo contesto il calcio era visto come riscatto sociale e i calciatori erano gli eroi moderni in cui l’operaio si immedesimava, una visione che ritroviamo in diversi momenti in praticamente tutto il mondo (l’Italia del boom economico, il Sudamerica oggi). [4] L’unità della comunità attorno ai loro beniamini e la rivalità con le comunità vicine hanno alimentato la popolarità del calcio, elevandolo a rituale collettivo più che una semplice competizione sportiva.


Fede e rituali

L’importanza sociale del calcio ha fatto sì che studiosi di campi sociali anche molto differenti se ne interessassero; tra tutti il più famoso è Desmond Morris, zoologo ed etologo autore del famoso “La scimmia nuda” ma anche de “La tribù del calcio”, nel quale esplora gli aspetti pseudo religiosi e tribali del calcio, spiegando così sia la sua capacità unica di generare emozioni sia il suo successo, anche economico. Il calcio avrebbe una maggiore diffusione perché riesce a riprodurre meglio il funzionamento della caccia delle tribù, dove la preda è la porta e i cacciatori-giocatori collaborano mettendo in campo abilità ancestrali quali la mira, la velocità, la destrezza in situazioni che ricordano l’inseguimento, lo scoccare della freccia, l’accerchiamento. I tifosi entrano a far parte della tribù attraverso un meccanismo pseudoreligioso, partecipando alla partita con i loro cantici e le loro preghiere, legandosi a una squadra (nella maggior parte dei casi) per tutta la vita, con una lealtà e una devozione tipiche delle confessioni religiose. Quante volte d’altra parte accomuniamo i tifosi al “dodicesimo giocatore in campo” e gli stadi a dei templi moderni; probabilmente non c’è un altro sport dove questo legame sia così forte. Diventa così di fondamentale importanza la simbologia: gli stemmi, veri e propri totem, gli eroi, le coreografie dei tifosi, le esultanze ai gol, il tutto orientato al culto della tribù e alla sua difesa dai meccanismi dello showbusiness che si fanno strada ma che non riescono a snaturare la componente tribale del tutto.


Altri motivi

L’infinità di caratteristiche che permettono al calcio di essere il più popolare degli sport rende difficile farne un’analisi esaustiva in un solo pezzo. Sicuramente l’essere uno sport a punteggio molto basso che esalta i momenti di tensione, la dicotomia tra innaturalità e istintività nell’utilizzare i piedi per svolgere un lavoro di precisione o l’enorme varietà di stili, giocate e tattiche sono tra queste, come lo spazio che il gioco lascia alla fantasia del singolo e lo storytelling che si è sviluppato attorno al gioco stesso. La sublimazione di tutto ciò porterà Manchester City e Inter a giocare sotto gli occhi di una miriade di spettatori, perpetuando quell’egemonia sportiva che rende il calcio lo sport del popolo.


Fonti:

[1] Redazione, Super Bowl vs finale Ucl, i numeri condannano l'Uefa, Calcio e Finanza, 17 febbraio 2023, https://www.calcioefinanza.it/

[2] Redazione, Qatar 2022, quasi 1,5 mld di spettatori globali per la finale, Calcio e Finanza, 19 gennaio 2023, https://www.calcioefinanza.it/

[3] Athletic Interest, Why American football lost, YouTube, 2 febbraio 2023, https://www.youtube.com

[4] A. Cavalli e A. Roversi, Calcio: un fenomeno non solo sportivo, Enciclopedia Treccani, https://www.treccani.it/enciclopedia/








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