top of page
  • Paolo Falqui

Abbiamo bisogno di una maschilità consapevole

Il problema della violenza di genere pone le sue radici nell'idea di maschilità.


Cosa spinge un uomo a comportarsi in maniera violenta?

É una domanda atavica, sulla quale si è dibattuto e investigato fin dall’antichità e che si ripresenta ogni volta che la pagina della cronaca nera si arricchisce di nuovi casi di femminicidio.


Approcciando il fenomeno della violenza, e nello specifico quella di genere, da un punto di vista scientifico si può arrivare a diverse risposte che potrebbero essere utili alla politica per sviluppare soluzioni ad un problema sociale che caratterizza trasversalmente tutto il mondo, compreso il mondo che chiamiamo con una certa dose di superbia “civilizzato”. Tuttavia la politica e l’opinione pubblica sono più portate ad un approccio ideologico al fenomeno che ne rende difficile la superazione, alimentando una lotta inconcludente tra chi tende a minimizzare e chi ne fa una questione d’odio. Il cambio sociale necessario, infatti. non può ottenersi a meno di parlare alla totalità della popolazione, senza rancori reciproci e lotte tra i generi.


Le origini dell’aggressività e la sua importanza nella maschilità

Secondo la maggior parte delle teorie psicologiche in merito, l’aggressività è una componente innata, una risposta dell’evoluzione a situazioni ostili. La predisposizione all’aggressività però non spiega l’incapacità di incanalarla attraverso comportamenti e situazioni socialmente accettabili, che sono il risultato di componenti psicologiche e sociali.

Fondamentale in questo senso è l’ambiente nel quale è avvenuto il processo di apprendimento delle norme sociali: essere cresciuti in ambienti aggressivi porta all'interiorizzazione di quel comportamento, che è normalizzato e considerato come accettabile, o perlomeno naturale; altresì, componenti come la frustrazione (Berkowitz), o l’appartenenza a gruppi tendenti all'aggressività (teoria della deindividualizzazione), rafforzano il comportamento violento. [1]

Tutto ciò forma parte dell’esperienza di vita di tutti i generi, e quindi non si può associare esclusivamente all’uomo. Entra qui in gioco l’ideale di maschilità egemone (Connell R.), ovvero il modo in cui definiamo il maschile e come gli uomini stessi si identificano attraverso il genere. L’aggressività infatti è un pilastro fondamentale della maschilità “tradizionale”, che si rifà ancora all’ideale di uomo guerriero: forte fisicamente, aggressivo, resistente, razionale e non emotivo. Le pressioni di questo stereotipo sulla popolazione maschile sono ancora enormi, e fin da giovani i maschi sono immersi in un ambiente che ne giustifica e incoraggia l’aggressività e che incluso ne fa una misura della loro maschilità.


Una questione di potere e identità

Sia nello studio dell’aggressività, sia in quello della maschilità, il potere ha un ruolo centrale.

Dai combattimenti dei leoni nella savana alla sfida tra due geni tecnologici del nostro tempo come Zuckerberg e Musk in una gabbia di MMA, la violenza ha la stessa matrice, ovvero definire la gerarchia, chi ha più potere sull’altro. Quest'ultima è una componente fondamentale, tanto più nella violenza di genere, dove la capacità di esercitare violenza viene usata per ristabilire ruoli e gerarchie, ottenere potere sull’altra persona e da ciò ottenere vantaggi. Anche il raptus più gratuito ha nella sua origine più profonda e incosciente una ricerca di potere, sia nel caso si voglia riaffermare il potere che si sente di avere, sia quando si vuole conquistare potere se si percepisce di esserne sprovvisti.

Nel maschio vi è una sfumatura in più: nel sistema patriarcale l’uomo si definisce (anche) per il potere di cui può disporre, da quello economico a quello fisico, a quello psicologico. Così la violenza di genere diventa un tentativo di affermare la propria maschilità di fronte a minacce quali l’influenza ormai consolidata del femminismo o i cambiamenti economici e sociali del XXI secolo. D’altra parte la violenza contro l’altro (per genere o per preferenze sessuali) è anche un collante fondamentale dei gruppi di sociali, dei quali cementa la struttura di relazioni sia verso l’esterno (chi è dentro, chi è fuori), sia verso l’interno (struttura in cima alla quale il leader è il modello di maschilità a seguire, ovvero il più “potente”). [2]


Il fatto che la violenza maschile si possa inserire in una cornice sociologica non deve essere letto come una giustificazione all’azione del singolo. Una maggiore consapevolezza maschile rispetto a queste dinamiche, da promuovere attraverso lo sviluppo dei men’s studies, è fondamentale per un cambio vero e reale della società, e il supporto psicologico a uomini violenti è già risultato essere molto utile in tal senso. [3]


L’importanza della conoscenza

Trattare la violenza di genere come un qualcosa di naturale e intrinseco alla società è dunque gravemente sbagliato, che sia per minimizzarlo o per ingigantirlo. La violenza di genere è, come diceva Giovanni Falcone della mafia, “un fenomeno umano, e come tutti i fenomeni umani ha un principio, una evoluzione e avrà quindi anche una fine”; pensare ad essa come un qualcosa di immutabile o biologico non fa che perpetuare un modello di società che è rimasto antiquato di fronte alle conoscenze odierne.

Ed è proprio la conoscenza la chiave di volta: il femminismo nacque da una presa di coscienza dell’uguaglianza di uomini e donne, e del ruolo subordinato a cui le ultime erano relegate; agli uomini manca ancora la consapevolezza dei condizionamenti che le aspettative sociali operano su di loro, e quindi il discernimento di ciò che nel loro comportamento sociale abituale è corretto e ciò che è abusivo.

Questo nasce, oltre che da un generale disinteresse degli studi di genere verso lo studio della maschilità, anche dalla totale assenza di una educazione psicologica e sociologica nel momento in cui è più importante, ovvero l’infanzia e l’adolescenza. Nel nostro ordinamento scolastico la conoscenza di sé e della società ha uno spazio veramente minimo, il che è inaccettabile se pensiamo che di tutte le competenze che possiamo sviluppare come esseri umani le uniche che utilizzeremo sicuramente e fino alla fine dei nostri giorni sono proprio le abilità sociali.


Una maschilità consapevole è necessaria per poter cambiare veramente lo status quo; è sicuramente più difficile da raggiungere (nonché da sponsorizzare), ci vogliono tempo e investimenti, mentre per inasprire le pene contro maltrattatori e assassini ci vuole pochissimo sforzo, ma sicuramente garantirebbe che le nostri nipoti e pronipoti possano vivere in un mondo un po’ più accogliente.


Fonti:

[1] Vincenzo Amendolagine, Psicologia dell’Aggressività: genesi, fenomenologia e meccanismi scatenanti, State of Mind, 24 giugno 2014, aggiornato il 16 luglio 2014, https://www.stateofmind.it/

[2] Cintioli E., Violenza istituzionale e modelli maschili nell’analisi dei men’s studies, in Democrazia e sicurezza – Democracy and security review, anno VIII, N.4, 2018

[3] Oddone C., All Men Do It. The Role of Violence in the Social Construction of

Masculinity: the Point of View of Perpetrators, in AboutGender, vol 6, no. 11, 2017


Immagine di copertina: L'uomo vitruviano di Leonardo da Vinci

bottom of page