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  • Barbara Alba e Francesco Podda

Aborto: la Corte Suprema cancella 50 anni di una pietra miliare dei diritti umani




Lo scorso 24 giugno, a distanza di quasi cinquant’anni, la Corte Suprema degli Stati Uniti d’America ha sancito il ribaltamento della storica sentenza Roe vs Wade del 1973, che affermò per la prima volta il diritto all’aborto negli Usa. La decisione ha comportato l’adozione da parte di alcuni stati di cosiddette “trigger laws”, ossia leggi grilletto che scattano immediatamente dopo la decisione della Corte Suprema di cancellare la protezione in materia di interruzione di gravidanza. Tra questi Stati, per ora arrivati a 13, vi sono Winsconsin, Arkansas, Missouri e Louisiana.


Negli Stati Uniti sono così esplose rabbia e proteste per una decisione che va controcorrente rispetto alla società e alle sue istanze e non tiene conto delle esigenze della donna. Alexandra Ocasio-Cortez ( deputata del Partito Democratico al Congresso), ha affermato: “Oggi ci siamo svegliati con meno diritti rispetto a ieri. Coloro che millantano di voler difendere la vita sono gli stessi che rifiutano il servizio sanitario pubblico e c’è da chiedersi se credano alla vita dopo la nascita. Ormai siamo in pericolo sul piano dei diritti e il nostro lavoro sarà quello di cercare una strada alternativa.” [1]


Abolizione o no?

Il diritto all’aborto è stato abolito? In teoria no, in pratica sì. La sentenza non ha sancito il divieto all’aborto, ma ha sottratto la competenza in materia a una sentenza di valenza federale, attribuendo il diritto a ciascuno stato di prevedere una legislazione diversa, più o meno restrittiva. Lasciare la libertà di legiferare a ciascuno dei cinquanta governi statali procurerà enormi differenze di trattamento, soprattutto nel caso di donne appartenenti a minoranze etniche o che versano in situazioni economiche disagiate, che troveranno enormi difficoltà a spostarsi dal proprio stato per esercitare un diritto che si dava per scontato. Per ovviare a queste difficoltà anche le grandi aziende hanno cominciato a muoversi. Netflix, Levi Strauss, Microsoft, Apple, Tesla, Meta, JP Morgan e altre offriranno alle proprie dipendenti residenti in stati in cui sussisterà l’abolizione un aiuto economico per recarsi laddove sarà permesso. [2]


Le donne, ancora una volta, dovranno sopportare il peso di una decisione che riguarda il loro corpo e la loro libertà, preso da una Corte composta per la maggior parte da uomini di matrice culturale conservatrice e che ha compiuto un’inversione di rotta sul piano dei valori in uno stato che non riesce a mettere lo stop alle armi ma ai diritti sì. Come se non bastasse, dopo qualche giorno è arrivata la notizia che, sempre negli USA, negli Stati che hanno vietato l’aborto la magistratura potrà chiedere ed ottenere i dati delle donne sospettate di aver effettuato un’interruzione volontaria di gravidanza. [3] Il pericolo più grande del divieto risiede nel ricorso all'aborto clandestino. Una soluzione che potrebbe provocare un’emergenza di carattere sanitario perché prevalentemente effettuato in luoghi non idonei dal punto di vista igienico-sanitario e con la presenza di personale scarsamente qualificato e impreparato ad affrontare complicazioni mediche. O – ancora peggio - molte donne probabilmente valuteranno, e in alcuni casi eseguiranno aborti ‘casalinghi’, utilizzando metodologie e farmaci abortivi illegali, potenziando mercato nero e criminalità organizzata.


E l'Italia?

La decisione della Suprema Corte ha fatto il giro del mondo, destando preoccupazione per questa improvvisa retrocessione sui diritti. L’ONU ha dichiarato che “costituisce un colpo terribile ai diritti umani delle donne”. L’aborto, da sempre, ha costituito in tutte le realtà un argomento controverso, terreno di scontro politico, culturale e religioso. In Italia l’interruzione di gravidanza è legalmente garantita dalla Legge 194 del 1978, che consente di interrompere la gravidanza entro i 90 giorni dal concepimento. Garanzia non sempre rispettata nella pratica, vista l’esistenza di un gran numero di obiettori di coscienza. Una situazione che spinge, in alcuni casi, verso metodi di aborto casalingo. I dati parlano chiaro: nel 2019 la percentuale di ginecologi obiettori di coscienza era pari al 67%, quella degli anestesisti del 43,5% e quella dei professionisti sanitari non medici del 37,6%. E ancora: ben 31 strutture che dovrebbero garantire l’interruzione volontaria della gravidanza su 180 totali presentano il 100% di medici obiettori, costringendo così le donne a doversi spostare in altre strutture per poter effettuare la procedura. [4] [5]


Siamo sicuri di essere così diversi dagli Stati Uniti? Allo stato attuale l'Italia non è un modello da seguire e il più delle volte il diritto all’aborto è garantito solo sulla carta. Si comprendono facilmente le perplessità di coloro che dimostrano contrarietà sul tema per questioni morali legate alla protezione della vita, soprattutto in una legislazione come quella americana che ammetteva l’interruzione di gravidanza fino al secondo trimestre, fase molto avanzata della gravidanza in cui il feto è perfettamente formato. Come in ogni diritto, occorre valutare il bilanciamento tra i diversi principi, il diritto della donna a rifiutare una gravidanza indesiderata e al contempo quello del nascituro, una vita per quanto possibile da preservare. Ma la strada non è il divieto bensì l’astensione di avvalersi di quel diritto da parte coloro che non lo condividono. D’altra parte gli Stati possono mettere in piedi un impianto legislativo con misure volte alla prevenzione delle gravidanze indesiderate, promuovendo la cultura della contraccezione e mettendo in piedi politiche economiche e sociali volte a dare un’alternativa alle donne che vorrebbero portare avanti la gravidanza ma scelgono di non farlo per mancanza di mezzi. L’invito a trovare misure alternative non deve escludere la possibilità di esercitare un diritto che dovrebbe essere costituzionalmente garantito. In materia di diritti ci sentiamo sempre al sicuro, certi che rimarranno inviolabili per sempre ma non è così e la sentenza della Corte Suprema lo ha dimostrato. Lo stato non ha il diritto però di decretare cosa una donna può o non può fare del proprio corpo, della propria libertà e della propria persona e la legislazione dovrebbe essere informata al principio My body, My choice.



Fonti:

[1] C-Span, Rep. Alexandria Ocasio-Cortez (D-NY) Reacts to Supreme Court Decision Overturning Roe v. Wade, Youtube, https://www.youtube.com/watch?v=V3poeFdzJK4

[2] Redazione, Aborto, proteste e tensioni in molte città: arresti. Ocasio-Cortez: "Subito cliniche per l'aborto su terreni federali negli Stati che lo vieteranno", Repubblica, https://www.repubblica.it/esteri/2022/06/25/diretta/sentenza_aborto_usa_corte_suprema-355395822/

[3] Instagram Corriere della Sera, 30 giugno, https://www.instagram.com/p/CfYbbKNsuMb/?igshid=YmMyMTA2M2Y%3D

[4] Luca Tremolada, Come sta andando la 194? I risultati dell’indagine Mai dati, IlSole 24 Ore, 16 giugno 2022, https://www.infodata.ilsole24ore.com/2022/06/16/come-sta-andando-la-194-i-risultati-dellindagine-mai-dati/?refresh_ce=1

[5] Carlotta Zanzottera, Obiezione di coscienza, i dati sono insufficienti, ingenere.it, 23 novembre 2021, https://www.ingenere.it/articoli/obiezione-di-coscienza-dati-sono-insufficienti

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