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  • Marco Fanari

Alle radici della violenza di genere: problemi e prospettive attuali

«Siamo state amate e odiate, adorate e rinnegate, baciate e uccise, solo perché donne»

Le parole della poetessa Alda Merini non potrebbero essere più profetiche: le donne vengono maltrattate e anche uccise solo perché donne. Non è, infatti, una semplice tautologia quanto appena detto, ma una preoccupante verità, che è comprovata dai fatti di cronaca (più o meno recenti), in cui vengono documentate le violenze perpetrate ai danni delle donne.


Il problema non è certo una novità, ma, benché sia stato oggetto di plurimi approfondimenti, più o meno specialistici, ancor oggi si stenta a trovare delle soluzioni effettive ed efficaci a questo fenomeno dai connotati così allarmanti. Troppo spesso, infatti, nel dibattito pubblico paiono risorgere delle posizioni ultra-punitivistiche, che propugnano delle tralatizie riforme della disciplina legislativa vigente proponendo il mero innalzamento delle pene o chiedendo l’introduzione di dubbi trattamenti sanzionatori, volti a rendere “inoffensivo” il reo in via definitiva.


Per le ragioni fin qui messe in luce, ritengo che questo articolo debba assumere una prospettiva diametralmente opposta a quella appena citata, andando a premiare quindi una riflessione marcatamente antropologica, dimodoché si possa tentare di comprendere la radice del fenomeno. A tal proposito è opportuno soffermare l’attenzione su quella che oggi è la realtà della formazione della personalità dell’individuo, indagando quali siano le realtà che dovrebbero contribuire maggiormente a prevenire che un soggetto (giovane o adulto che sia) commetta una violenza ai danni di una donna.


Ebbene, il nostro sguardo dovrà focalizzarsi sulla famiglia e sulla scuola.

Sono, infatti, queste due istituzioni ad avere il compito fondamentale di educare il giovane alla vita. Per il vero, nel caso della violenza di genere v’è proprio la necessità di comprendere quali siano i valori fondamentali del vivere all’interno della comunità civile. A ben guardare, ciò che si dovrebbe insegnare è innanzitutto l’importanza di rispettare gli altri nelle loro straordinarie diversità. Rispetto che, peraltro, è direttamente collegato con le nostre libertà fondamentali, le quali - a scanso di equivoci- non sono illimitate, ma trovano il proprio confine proprio laddove inizia la libertà dell’altra persona. Tutto ciò induce a porre in evidenza che non vi dovrebbe essere spazio alcuno per qualsivoglia forma di violenza o di sopruso e, a maggior ragione, dovranno essere condannati tutti gli atti violenti che le donne subiscono.


Se il rispetto reciproco è un quid imprescindibile nella nostra riflessione, lo è altrettanto quell’educazione sentimentale, che oggi purtroppo pare del tutto assente nel modo di pensare soprattutto dei più giovani. Difatti, l’incapacità di esprimere i sentimenti in maniera sincera è uno dei problemi psicologici degli uomini violenti. Molto spesso la nostra società propone il classico modello dell’uomo forte, che non viene toccato dalle vicende sentimentali e riesce a risolvere tutti i problemi attraverso la forza. Come messo in luce anche dai più recenti fatti di cronaca, questo paradigma viene usualmente emulato dai più giovani, che commettono degli atti terribili e odiosi.


In questa situazione chiaramente drammatica, la famiglia e la scuola hanno il dovere (innanzitutto morale) di intervenire. E, a questo scopo, si dovrà primariamente insegnare ai ragazzi che vi sono dei valori inderogabili, i quali devono guidare tutte le loro azioni, come dei punti cardinali. Le donne devono essere rispettate. Nessuna eccezione. Non sono più ammissibili tutte quelle scuse - se tali si possono ancora definire - che vengono sistematicamente addotte dagli uomini violenti, quasi come se si potesse trovare una sorta di perdono sociale.

Si deve, quindi, insegnare il rispetto reciproco e, altrettanto importante, la capacità di esprimere i sentimenti. È inammissibile che nel nostro tempo nelle scuole esistano argomenti che paiono ancora dei tabù; infatti il giovane si trova ad apprendere tante informazioni legate alle relazioni sentimentali attraverso fonti assolutamente inappropriate, le quali propongono dei modi d’intendere il rapporto con la donna solo nella forma della violenza. In termini più chiari: tutti noi abbiamo il dovere di educare ad amare.


Se fin qui si è posto l’accento sulla prevenzione, ora - in alcune battute - si dedicherà qualche riga al trattamento sanzionatorio, considerato anche la sua centralità nel dibattito mediatico.

Si è già detto che attualmente il dibattito pubblico è polarizzato verso quelle che sono le proposte di nuove sanzioni contro gli uomini violenti. Come sovente accade durante i periodi di emergenza (o così intesi), anche in questo caso si pensa a delle grandi riforme che interessano specialmente il diritto penale. Ecco, l’ottica che qui vorrei assumere non è contigua a quella che si è appena detta, ma vuole concentrarsi sulla natura e sulla funzione del trattamento sanzionatorio.

L’esperienza storica ci dimostra che l’inasprimento della sanzione non conduce a una riduzione dei reati; infatti colui che vuol commettere un illecito difficilmente sarà dissuaso dal fatto che l’ordinamento preveda una pena particolarmente gravosa, in quanto riterrà di non incorrervi. Spetta, quindi, a tutti noi cambiare la prospettiva d’analisi, onde comprendere quale sia il modo per rieducare più efficacemente il maschio violento e maltrattante. In quest’ottica è fondamentale la predisposizione di un percorso psicologico e psichiatrico obbligatorio, che vada ad accompagnare la sanzione che l’ordinamento prevede. In questo modo si riuscirà a giungere al risultato più importante: far riconoscere all’uomo il gesto assai riprovevole che ha commesso. Difatti, l’espiazione della pena ha la funzione di ottenere la piena risocializzazione del reo, che dovrà tradursi anche nella possibilità di prevenire la commissione di un’altra violenza ai danni delle donne.

Sotto la prospettiva appena proposta, ritengo sia evidente il fatto che la mera permanenza in carcere (più o meno lunga) non sia rieducativa per il maschio violento, che talvolta, dopo l’esperienza carceraria, perpetra nuovamente una violenza contro una donna.


Di qualche giorno fa è la notizia dell’omicidio della giovane ragazza Giulia Cecchettin, rimasta vittima dell’efferata violenza del ragazzo. Non volendo entrare nella vicenda giudiziaria, che è ancora in definizione, fa certamente riflettere quanto si è appreso dalle varie fonti d’informazione. Infatti, è stato messo in luce che il fidanzato di Giulia concepiva la relazione in termini possessivi, tant’è vero che non voleva che Giulia si laureasse prima di lui. Il fatto di cronaca consente di delineare in maniera cristallina un modo di pensare, che oggi – purtroppo – è assai diffuso in molti ambienti culturali, particolarmente intrisi da una concezione patriarcale, nella quale tutto ruota intorno alla violenza e alla sopraffazione della vittima. Il rapporto di relazione dovrebbe, invece, essere basato sul rispetto reciproco e – soprattutto – sull’uguaglianza, in modo tale che all’interno della coppia ognuno possa esprimere senza paura la propria soggettività. Non si può più tollerare che vi sia una sproporzione della relazione generata da una differenza di forza.


Quanto appena evidenziato consente di capire ancor meglio il problema – anzitutto culturale – che attanaglia le relazioni. Difatti, è palese che il ragazzo di Giulia non sia riuscito a tollerare che la propria ragazza potesse coronare un traguardo prima di lui o terminasse la loro relazione. E qui è legittimo chiedersi se questa sia definibile una relazione; oppure è qualcos’altro, evidentemente patologico, che dovrebbe essere estirpato dalla società? I ragazzi devono imparare a rispettare le differenze e ad accogliere – talvolta – anche ciò che a loro parere non è giusto. Pare che ormai la logica attuale della “competizione a tutti i costi” abbia permeato anche nei rapporti affettivi e ciò comporta che anche la relazione sia vissuta in maniera non sana e sovente sfoci in episodi di inaudita violenza.


In definitiva, la violenza di genere è il portato di una pluralità di fattori sociali, che hanno causato un indubbio peggioramento dei rapporti personali e affettivi fra l’uomo e la donna. I femminicidi sempre più drammaticamente frequenti che si stanno verificando dimostrano la necessità di un deciso cambio di rotta, che passi dalle famiglie, dalle scuole e dalle istituzioni.


Benché sia sempre stata una caratteristica che contraddistingueva il genere umano, pare che oggi dobbiamo nuovamente imparare ad amare.


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