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  • Immagine del redattoreGiulio Ardenghi

Bystander effect e qualunquismo: cosa ci insegna il caso di Civitanova Marche?


Quando si parla di culture war (guerre culturali) di solito ci si riferisce a divergenze ideologiche che hanno luogo specialmente nel mondo anglosassone e negli Stati Uniti. Sono oggetto di guerre culturali tutti quei temi che vedono l’opinione pubblica dividersi in modo netto e ostile, come ad esempio l’aborto, l’immigrazione e le problematiche relative alla comunità LGBTQ+. È interessante notare come, in modo abbastanza frequente, chi si pone verso questi argomenti in modo più conservatore tenda a rivendicare per se stesso una posizione di superiorità morale rispetto ai suoi avversari, mentre chi opta per idee più progressiste cerchi piuttosto di presentarsi come la parte più “intellettuale” nel dibattito in questione. Ad esempio, come c’è stata la moda che vedeva i millennial di centro-sinistra, sia da noi che oltreoceano, zittire i vecchi più conservatori usando la formula “ok boomer”, oggi sono gli internauti che si divertono ad assumere posizioni di estrema destra che zittiscono i liberali con la formula “ok groomer”. [1]


Ma, se vogliamo spostarci dal generale al particolare, gli avvenimenti di venerdì scorso a Civitanova Marche forniscono parecchi spunti di riflessione. Secondo le ricostruzioni, un 32enne di nome Filippo Ferlazzo, campano di origine ma domiciliato nel comune marchigiano per motivi di lavoro, ha picchiato a morte un ambulante nigeriano 39enne di nome Alika Ogurchukwu per aver presumibilmente strattonato la sua ragazza nel tentativo di chiederle l’elemosina. [2] Diverse persone hanno assistito alla scena dell’omicidio, alcune hanno filmato ma nessuna di loro è intervenuta.


Questa vicenda ha portato a un vero e proprio scandalo nell’opinione pubblica, e non solo per via della desolazione che un omicidio per motivi così futili può provocare. Il fatto che sia stato un italiano autoctono a uccidere un immigrato e non il contrario (come spesso i giornali riportano) ha certamente dato nuova linfa al dibattito tra coloro che sono pro e contro l’immigrazione. Come era facile prevedere, gli utenti della rete si sono indignati a tal punto da chiedere la pena di morte per l’autore dell’omicidio. Ma non è tutto. Nell’occhio del ciclone ci sono finiti anche coloro che assistevano senza essere intervenuti. Anche questi si sono beccati le accuse peggiori, addirittura qualcuno ha suggerito che fossero “peggiori di Ferlazzo stesso”.

Straordinariamente esemplificativo è il post su Facebook di Roberto Saviano, che scrive:

Mentre Ferlazzo si accaniva su Ogorckukwu, c’era chi riprendeva la scena senza intervenire, senza bloccare l’aggressore. Paura? Forse. Ma la paura fa scappare lontano, impone fuga. Qui accade qualcosa di inaccettabile: ci si ferma a riprendere, a immortalare una scena atroce. Una scena di morte. Ma come è possibile? Qualcuno urla: “Così lo ammazzi!” e infatti così è stato: l’ha ucciso. I social ci hanno modificano sin nel midollo. Dobbiamo prendere atto che, ad alcuni, forse a troppi, sembra di essere nella realtà solo se la riprendono con un telefono, e questo pare essere diventato il massimo intervento sulle cose che possono avere. [3]

Ci sarebbe tanto da commentare in proposito. Ma la cosa che urge precisare è che non ha senso suggerire che chi riprendeva è tanto colpevole quanto Ferlazzo, e la ragione è una teoria nota in psicologia sociale col nome di bystander effect. Secondo Psychology Today, questa avviene quando “la presenza degli altri scoraggia un individuo dall’intervenire in una situazione di emergenza (…) più alto è il numero di spettatori, meno è probabile che uno di essi offra aiuto a una persona in difficoltà”. [4]

Naturalmente questo non scagiona del tutto chi non ha fatto nulla per fermare un omicidio, né è da intendersi in modo deterministico. L’articolo di Psychology Today dà dei consigli su come essere uno spettatore attivo, ma sicuramente fa capire come non sia il caso di mettere assassino e spettatori sullo stesso piano di colpa.


Se poi persone come Saviano decidono di ricorrere al qualunquismo e dare la colpa alla tecnologia (in un frangente diverso un discorso come il suo gli sarebbe certamente valso un “ok boomer”), si capisce come non ci sia affatto alcuna vera differenza in generale tra conservatori e progressisti nel nostro Paese, almeno al di là della retorica. Non importa che si pongano come intellettualmente o moralmente superiori, entrambi dimostrano di non informarsi prima di esprimere opinioni, come la discussione sul bystander effect dimostra, e di non avere problemi nel pitturare i loro avversari come dei degenerati per poi procedere a sostenere pratiche moralmente aberranti come la pena di morte.

Fonti:

[1] Nello slang di internet la parola groomer significa “pedofilo”. Il senso è che, secondo chi usa questa formula, chi è a favore di un’educazione sessuale nelle scuole che includa temi LGBTQ+ sia da considerare tale e quale a un pedofilo. [2] Vedi, ad esempio: Vitaloni Marco, Civitanova, il racconto della fidanzata dell’assassino: cosa è successo prima dell’aggressione, Virgilio, 31 luglio 2022, https://notizie.virgilio.it/ [3] Roberto Saviano, pagina Facebook, https://www.facebook.com/ [4] Psychology Today Staff, Bystander effect, Psychology Today, consultato il 31 luglio 2022 ://www.psychologytoday.com/us/basics/bystander-effect


Fonte copertina: open.online

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