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  • Immagine del redattoreSilvia D'Andrea

Climate change? America cares (again). L’agenda Biden e la sfida ambientale in vista della COP26


Dopo ripetuti up and down in tema ambientale, succedutisi a partire quantomeno dagli anni ’80, la presidenza di Joe Biden sembra avere aperto una nuova fase del coinvolgimento statunitense nella lotta al cambiamento climatico. Riprendendo il filo di un discorso che lega l’American Renewal di Bill Clinton alla sensibilità ambientale di Barack Obama – filo che lo sbandierato 'rollback' trumpiano pareva avere interrotto – il neoeletto Presidente degli Stati Uniti ha espresso la ferma volontà di voler fare di questo tema un punto centrale dell’agenda dell’amministrazione. [1]


Dopo una sola settimana dall’inizio del mandato elettorale - il 27 gennaio 2021 - Biden ha emanato l’Executive Order on tackling crisis at Home and Abroad, che traccia una dettagliata road map: rientro degli Stati Uniti nell’Accordo di Parigi, azzeramento delle emissioni di gas serra entro il 2050, eliminazione dell’inquinamento da carbonio dalle centrali elettriche entro il 2035; tutto ciò finanziando un ampio piano di trasformazione dei sistemi energetici. [2]


L’idea di base è che l’azione interna debba andare di pari passo con l’azione sul piano internazionale, che nell’ottica della nuova amministrazione dovrebbe seguire la leadership statunitense. Biden sottolinea infatti come le considerazioni attorno alla tutela ambientale e al cambiamento climatico siano di fondamentale importanza per la politica estera americana e per la sicurezza nazionale. Il perseguimento degli obiettivi stabiliti non vedrà tuttavia uno sforzo unilaterale; Biden intende operare in una cornice multilaterale e adottare un approccio bipartisan sul piano interno.


Sul piano interno, Biden deve tuttavia fare i conti con l’approccio “business as usual” sul quale si fonda l’opposizione dei Repubblicani al consistente impegno finanziario per la lotta al cambiamento climatico. Tale opposizione rappresenta la più stringente sfida interna in materia sebbene “i Democratici rigettino la falsa scelta fra la crescita dell’economia e la lotta al cambiamento climatico”. [3] Biden ha inizialmente ricercato un approccio bipartisan per l’approvazione dell’American Rescue Plan per la risposta alla pandemia e la ripresa economica. Tuttavia il finanziamento al ribasso giocato dall’ala Repubblicana del Senato (solo 600 miliardi di dollari) ha portato Biden a scegliere di procedere senza il supporto dei Repubblicani, piuttosto che cedere a un compromesso che lui reputa svantaggioso per il popolo americano.


La procedura legislativa denominata “budget reconciliation” ha infatti permesso l’approvazione di un finanziamento di 1.900 miliardi di dollari per l’American Rescue Plan. Si tratta di una vittoria importante, perché questo piano fa parte della più ampia “build back better” strategy di Biden per la quale si intende stanziare 7.000 miliardi di dollari in fondi federali. Altri due piani fanno parte di questa cornice: l’American Jobs Plan (2.000 miliardi), e l’American Families Plan (1.000 miliardi). Questa strategia mira a mettere in campo un rinnovamento infrastrutturale multi-livello (immobili, mobilità green, digitale, massimizzazione della resilienza), al centro del quale si pone proprio la lotta al cambiamento climatico. L’obiettivo della protezione dell’ambiente è inoltre legato a doppio filo alla tutela della salute dei cittadini e al tema della giustizia sociale. Tale piano multimiliardario continua tuttavia a vedere la divisione all’interno del Senato sul sistema di finanziamento.


Sotto il profilo internazionale, l’eredità lasciata dall’amministrazione Trump pone due sfide - oltre a quella rappresentata dagli ambiziosi obiettivi prefissati. Da un lato Biden deve ristabilire la fiducia dei Paesi partner nell’effettività del coinvolgimento degli Stati Uniti nei negoziati per il clima dopo l’uscita dall’accordo di Parigi. D’altro canto, Biden intende concentrarsi sul contenimento geopolitico della Cina, con cui gli Stati Uniti dovranno però anche collaborare per mettere in atto le politiche volte a contrastare il cambiamento climatico.


Motore a sostegno di queste sfide sul piano internazionale è la volontà di Biden di riportare gli Stati Uniti ad assumere la leadership nella lotta al cambiamento climatico. A tal fine, il Presidente statunitense ha convocato il Leaders’ Climate Summit che si è svolto fra il 22 e il 23 aprile allo scopo di unire i leader dei vari Paesi (soprattutto dei maggiori responsabili per le emissioni di gas serra) nel comune obiettivo di stabilire dei nuovi ambiziosi obiettivi prima della conferenza COP26 di Glasgow prevista per il prossimo novembre. A questo proposito, il Summit ha visto l’annuncio del New Emissions Goal degli Stati Uniti: riduzione del 50% delle emissioni rispetto ai livelli del 2005 entro il 2030 al fine di contribuire a limitare l’aumento della temperatura a 1.5C°. [4]


Sebbene tale obiettivo sia molto ambizioso e alcuni mostrino un certo scetticismo sulla riuscita, Biden si è mostrato fiducioso in più occasioni. [5] La ratio dell’agenda climatica è ben riassunta dalle parole pronunciate dal presidente alla sessione di apertura del Summit: attraverso il piano infrastrutturale, all’obiettivo della lotta al cambiamento climatico Biden vuole unire l’obiettivo della crescita economica del paese. [6]


Il piano di Biden tiene conto anche delle relazioni con la Cina, le cui ambizioni rappresentano un’altra grande sfida da affrontare accanto alla crisi climatica. Nonostante la tensioni con Pechino si siano intensificate nei quattro anni di presidenza Trump, Biden intende cercare un approccio costruttivo con la potenza asiatica al fine di cooperare sul tema del cambiamento climatico. L’incontro fra John Kerry, International Climate Envoy, e il presidente cinese Xi Jinping in aprile si è concluso con un joint statement nel quale gli Stati Uniti e la Cina esprimono la volontà di cooperare nonostante le tensioni che caratterizzano le relazioni fra i due paesi.


Nel discorso tenuto al Leaders’ Climate Summit, Xi Jinping ha fatto appello al multilateralismo nell’affrontare la lotta al cambiamento climatico (tema di interesse anche per la Belt and Road Initiative cinese), ed ha elencato le numerose azioni portate avanti dalla Cina sul tema, anche all’interno del nuovo Piano quinquennale cinese. Sia la Cina che gli Stati Uniti prevedono una cooperazione con i Paesi in via di sviluppo per il raggiungimento degli obiettivi prefissati. [7] [8]


Da una sponda e dall’altra del Pacifico, in buona sostanza, gli obiettivi delle due maggiori economie mondiali sono tracciati: gli Stati Uniti vogliono tornare ad essere i leader della lotta al cambiamento climatico, la Cina aspira invece ad essere il leader globale nel settore delle tecnologie a basso tenore di carbonio, sul quale sta investendo pesantemente. È pertanto probabile che, nonostante il richiamo al multilateralismo che proviene da entrambe le parti, la competizione fra Stati Uniti e Cina si svilupperà attorno alle nuove tecnologie per la transizione energetica e alla cooperazione con Paesi terzi.


Tenuto conto di questi aspetti, la COP26 si prospetta come un importante banco di prova internazionale per l’agenda climatica di Biden, in questo scenario i rapporti con la Cina giocheranno un ruolo fondamentale.

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