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  • Paolo Falqui

Elezioni in Spagna: al voto è successo di tutto e tutto può ancora succedere




Doveva essere la notte della vittoria annunciata del centrodestra spagnolo e invece, tra rimonte e contro rimonte, alla fine non c’è nessun governo all’orizzonte, o forse sì. È stata la notte nella quale gli spagnoli hanno ritrovato la passione per la politica, con lo scrutinio seguito in diretta come fosse la finale dei Mondiali e che alla fine lascia ancora tutto aperto. Avevamo detto che c’era spazio per qualche sorpresa e non siamo stati delusi, con il blocco di destra che aveva smorzato l’entusiasmo nell’ultima settimana mentre trapelava ottimismo a sinistra; alla fine ha vinto il PP ma a festeggiare è stata la sinistra. Ma andiamo con ordine perché di cose ne sono successe veramente tante.


L’affluenza a luglio


Il primo avvenimento degno di nota di queste elezioni è il dato sull’affluenza: è una domenica di luglio e quindi c’erano tutti i presupposti per un grande astensionismo e invece, soprattutto grazie ai due milioni e mezzo di voti per posta, la partecipazione è stata incredibilmente alta: 70,4%, quattro punti percentuali in più rispetto all’ultima votazione, con 24,7 milioni di spagnoli che hanno espresso il loro voto in piena estate a conferma di quanto fossero sentite queste elezioni. [1] Se è pur vero che rimane un punto sotto la prima tornata elettorale del 2019 (ad aprile), dopo la quale, in assenza di un governo, la sfiducia face aumentare la quota dell’astensione, bisogna anche considerare la straordinarietà di un voto estivo che, a esempio, in Italia è sempre visto come una motivazione in più per non recarsi alle urne e che invece non ha scoraggiato gli elettori più di tanto. L’astensionismo ha comunque inciso sul voto iberico: soprattutto quello che ha caratterizzato i seggi catalani, fino a 13 punti sotto la media nazionale, che ha penalizzato i partiti indipendentisti catalani e figlio di una generale disillusione rispetto ai mancati progressi in merito all’indipendenza. Più avanti analizzeremo come in vista di un possibile governo questo sia un aspetto determinante.


Il racconto dello scrutinio


L’evoluzione dello scrutinio man mano che avanzava il conteggio delle schede è stata ricca di colpi di scena. Diversi i cambi di leadership, diversi i possibili scenari, fino ad arrivare a una non-vittoria e a un sostanziale pareggio tra le parti. I primi dati che potevano offrire una indicazione erano clamorosi: alle 21.30, con il 20% dei voti scrutinati, il blocco PSOE+Sumar era chiaramente in testa contro ogni previsione, e poteva arrivare comodamente a una maggioranza di governo; il PSOE, primo partito in quel momento, aveva ben 5 deputati in più rispetto al PP favorito alla vigilia, ma era chiaro che le due coalizioni sarebbero state vicine fino alla fine, cosa che già era una grande sorpresa. Alle 22.00, arrivati al 50%, il pareggio tra sinistra e destra era perfetto: 161 deputati PP e Vox, 161 deputati PSOE e Sumar, con il partito di Pedro Sánchez che continuava ad essere il primo partito con il 2% in più di voti e un deputato di vantaggio sul PP. Già mezz’ora dopo, vicini al 75% il PP, pur con un punto percentuale in meno, aveva recuperato il posto di primo partito con 5 eletti in più del PSOE ma paradossalmente l’unico governo possibile era ancora a sinistra, visto che la destra con 165 deputati non sarebbe verosimilmente riuscita a raccogliere tra gli indipendentisti 12 voti, mentre la sinistra poteva ancora arrivare a 177 (la maggioranza assoluta è a 176) con una riedizione del patto largo con gli indipendentisti di 4 anni fa. Ma poco dopo è svanita anche questa opzione: il PSOE è letteralmente crollato nelle ultime fasi lasciando per strada altri 5 deputati, e così si è arrivati al risultato finale: Partido Popular primo partito con il 33,1% e 136 deputati; PSOE fermo al 31,7% e 122 deputati; Vox al 12,4% con soli 33 deputati praticamente alla pari con Sumar (12,3%, 31 deputati). La situazione si è quindi chiusa con un pareggio di fatto: la coalizione di destra ha chiuso con 169 deputati, 170 contando il partito UPN, lontana ma non lontanissima dalla maggioranza di 176; la coalizione di sinistra ha chiuso invece a 153 ma una ipotetica riedizione dell’alleanza del 2019 la spingerebbe a 172, a soli 4 voti dalla maggioranza assoluta; in mezzo 28 posti ai partiti indipendentisti, tra cui spiccano ERC (Sinistra Repubblicana Catalana), PNV (Partito Nazionale Basco) e Junts (il partito dell’esiliato Puigdemont), che a seconda di come si posizioneranno potranno veramente decidere le sorti del governo e della Spagna intera. [2]


Il vincitore sconfitto: Partido Popular


Andiamo a vedere in dettaglio cosa è successo nei vari partiti iniziando per il grande favorito della vigilia, il PP di Alberto Feijóo. Dopo il risultato schiacciante delle amministrative, i popolari si preparavano a una festa per il ritorno al governo ma il recupero della sinistra e qualche scivolone di troppo ne hanno compromesso il risultato. Il PP ha sì guadagnato ben 47 deputati ma è andato sotto le aspettative, non riuscendo ad arrivare alla soglia della maggioranza assoluta che gli avrebbe consentito di formare il tanto agognato governo. L’emozione principale tra gli elettori che si erano riuniti per celebrare i risultati davanti alla sede del partito è stata la delusione, tanto che quando Feijóo è uscito a ringraziare e a dare il suo discorso è stato interrotto dai presenti che inneggiavano alla sua nemesi Isabel Ayuso, nome importante del PP e presidente eletta della Comunità di Madrid; la reazione dei due ai cori si è subito fatta virale, con il malcelato nervosismo del leader designato e la altrettanto malcelata soddisfazione della Ayuso. Nelle ore successive (e se ne parlerà ancora soprattutto se dovessero esserci nuove elezioni) si è paventato il cambio di leadership, visto il risultato vittorioso ma deludente di Feijóo e quella che sembra essere una predilezione degli stessi elettori del PP per la figura di Ayuso, più moderna e meno attempata. Feijóo ha comunque annunciato che proverà a formare un governo “rivendicando il diritto a farlo come primo partito”, ma la sensazione è che il PP stia andando a grandi passi verso una crisi impronosticabile fino a qualche giorno fa. D’altronde quanti partiti vincitori pensano a un cambio di leader? Le prossime settimane saranno bollenti.


Il chiaro sconfitto: Vox


In realtà il tonfo di Vox non è stata una vera e propria sorpresa: i sondaggi lo davano già ben al di sotto del risultato del 2019, ma alla fine nell’urna elettorale è andata pure peggio, con il partito che ha perso 19 deputati (secondo i sondaggi ne avrebbe persi solo una decina) e perdendo anche, per ora, l’opportunità di andare al governo. La débâcle è stata incontrovertibile, tanto che il leader Santiago Abascal ha cancellato la sua apparizione pubblica. Sarà anche per Vox un momento di riflessione, visto che la sua presenza nella coalizione di governo per ora spaventa i partiti indipendentisti che invece si avvicinano alla sinistra, date le idee fortemente unioniste e centraliste degli ultraconservatori. Di conseguenza dovranno lavorare il doppio per riuscire a convincere partiti tradizionalmente di centrodestra come il PNV a unirsi, e facendo concessioni che screditerebbero ancora di più Vox tra i suoi elettori. Non saranno settimane facili neanche per loro.





Il perdente vittorioso: PSOE


L’incredibile rincorsa di Pedro Sánchez è passata anche per il meme di un cane, in pieno stile “elezioni dell’era social”: apostrofato “Perro Sánchez” dai suoi detrattori (che vuol dire appunto “Cane Sánchez”), il PSOE ha rigirato il gioco di parole riuscendone a farne un tormentone social dei simpatizzanti socialisti, soprattutto qualche giorno fa in occasione della giornata del cane [3]. Meme a parte, il risultato del PSOE è andato oltre le aspettative: durante la maggior parte dello scrutinio è stato in testa per poi cedere ma non crollare, assicurandosi una difficile ma possibile occasione per tornare al governo. D’altronde il PSOE ha aumentato il numero di voti, le percentuali raggiunte e persino il numero di eletti, 2 in più (ma fino a poco dalla fine del conteggio avrebbero potuto essere anche 10) rispetto alle elezioni di 4 anni fa, premiando la scelta del Presidente uscente di anticipare le elezioni. L’ambiente nella Calle Ferraz dove si sono riuniti i suoi elettori era di festa, nonostante la sconfitta, e Sánchez è stato acclamato al grido di “Presidente”. Ora il presidente del governo uscente sarà impegnato a costruire un'alleanza ancora più larga con gli indipendentisti, ma non sarà cosa facile: tra i partiti da convincere ci sono anche i seguaci di Puigdemont, che ha già dichiarato che non farà il governo con nessuno, rimanendo fedelissimo ai suoi ideali indipendentisti; una loro astensione nel voto della fiducia consentirebbe comunque la di un governo di minoranza, che sarebbe già un gran risultato viste le premesse.


I moderatamente soddisfatti: Sumar


Non c’è stata un’esplosione ma neanche un fallimento: la mega coalizione a sinistra ha semplicemente fatto il suo, arrivando a 31 deputati (vicino alle stime pre-elettorali) e sostanzialmente alla pari con Vox, rispetto al quale però il risultato ha un significato completamente differente. Per un esperimento così giovane, nato da solo un anno, è quanto di più simile a un successo possa esserci e la leader Yolanda Díaz si è infatti detta soddisfatta e ha annunciato la partecipazione alle trattative con il PSOE e gli indipendentisti per formare un governo. Visto il trend di crescita, è addirittura possibile che un ritorno alle urne possa migliorare la sua posizione, anche se per ora non vi sono indicazioni in tal senso.


L’ago della bilancia: Partiti Indipendentisti


Il blocco dei partiti indipendentisti, lasciato colpevolmente fuori dalla nostra guida alle elezioni spagnole, è, come spesso accade in Spagna il vero “kingmaker”. Di fatto la maggior parte è più vicina al PSOE che al PP, soprattutto viste le posizioni di Vox, ma ci sono dei cambiamenti rispetto a 4 anni fa. Nel complesso i partiti indipendentisti hanno praticamente dimezzato il loro peso nel Congreso, con i peggiori risultati ottenuti da ERC (7 deputati, 6 in meno delle scorse elezioni) e CUP (Candidatura di Unità Popolare, partito indipendentista catalano di sinistra) che non ha ottenuto nemmeno un seggio (2 deputati 4 anni fa). In generale i partiti catalani hanno perso voti e peso politico, pagando qualcuno l’alleanza col Governo Sánchez (ERC) altri la bassissima affluenza in Catalogna (Junts, CUP). ERC, visto lo scarso risultato, ha già dichiarato che i suoi voti “non saranno gratis”, mentre il PNV (Partito Nazionale Basco) ancora non si è sbilanciato, potendosi cosi presentare alle trattative sia con la coalizione di destra che con quella di sinistra. Ma a giocare il ruolo più importante, per ironia della sorte, sembra essere il partito dell’esiliato Puigdemont, Junts, che si ritrova con 7 seggi decisivi per la possibilità di un Sánchez-bis e che sicuramente complicherà le trattative per un governo, potendo avanzare richieste in materia di indipendenza molto spinte in virtù della sua posizione centrale nel destino politico spagnolo.


Possibili scenari


Il complicato esito delle elezioni lascia sulla carta tutti gli scenari aperti: il più probabile è il ritorno al voto, ormai consuetudine (successe nel 2015 e nel 2019), che rimescolerebbe ancora le carte, soprattutto se il PP cambiasse leadership. In questo senso, la Ayuso sembra avere un gradimento più alto e potrebbe quindi riuscire a strappare un risultato sufficiente a garantirle la presidenza del governo; da vedere però l’evoluzione del voto verso Vox, che è apparsa in palese difficoltà. Sia la destra che la sinistra proveranno però a scongiurare l’incognita del ritorno alle urne e qui si aprono una certa quantità di scenari molto interessanti. Grazie al Gobiernómetro di RTVE (la televisione pubblica spagnola) possiamo calcolare i vari possibili governi: PP e Vox, dando per scontata un'alleanza tra le due forze, hanno insieme 169 deputati ed è quasi certo il 170esimo di UPN (Unione del Popolo Navarro, partito di destra regionale) ma potrebbero convincere anche i liberali della Coalizione Canaria (1 deputato) arrivando a 171; riuscirebbero a formare un governo arrivando a un patto o col PNV (5 deputati, maggioranza strettissima a 176), o con Junts (7 deputati), o con entrambi. Tuttavia sia il PNV (che era presente nella maggioranza dello scorso governo) sia Junts non sembrano facili da convincere, e per trovare un’intesa Feijóo potrebbe essere costretto a quel punto a fare delle concessioni che sicuramente non piacerebbero né a Vox, né ai propri elettori. Ci si ritroverebbe così a che fare con uno scenario improbabile nel quale un governo di destra avalla progressi nel cammino per l’indipendenza di Catalogna e Paesi Baschi, senza dubbio surrealista. D’altra parte anche il PSOE ha le sue opportunità per formare un nuovo governo: 153 deputati di partenza tra PSOE e Sumar che diventano 160 con l’aiuto di Bildu (sinistra indipendentista basca già presente nel precedente accordo) e Blocco Nazionalista Galiziano (socialisti del nord-ovest spagnolo). Qui iniziano i problemi, perché ERC (Sinistra Repubblicana Catalana, 7 deputati), presente nella maggioranza uscente, ha visto molto ridimensionato il suo consenso e non prenderà alla leggera una possibile nuova alleanza in mancanza di “progressi reali e misurabili” sulla via dell’indipendenza catalana; oltretutto bisognerà trattare anche con i liberali del PNV e assicurarsi un nuovo patto e probabilmente maggiori concessioni anche su quel fronte: la coalizione si ritroverebbe così a quota 172 deputati, ancora sotto la maggioranza assoluta. Ed è qui che tornano in gioco Junts e Puigdemont: la loro possibile partecipazione in un governo è stata ventilata dai media ma smentita dal diretto interessato, conscio del grande potere che si ritrova ad avere a pochi anni dal referendum incostituzionale che organizzò in Catalogna e che lo ha portato forzatamente lontano da Barcellona; le trattative si preannunciano molto aspre, considerando anche il fatto che il suo partito non è in buoni rapporti con i repubblicani catalani con cui andrebbe al governo. Tuttavia, come detto poc’anzi, con 172 deputati a Pedro Sánchez basterebbe l’astensione di Junts per conquistare una maggioranza relativa e poter formare un governo, anche se di minoranza; lo stesso sarebbe possibile per Feijóo senza il PNV (171 deputati) ma solo se oltre a Junts si astenesse anche uno dei partiti su cui fa affidamento il PSOE. Riassumendo, le possibilità sono:


  • Ritorno al voto;

  • Governo di destra PP + Vox + PNV + UPN + Coalizione Canaria: 176 deputati (con concessioni all’indipendenza dei Paesi Baschi?)

  • Governo di minoranza di destra PP + Vox + UPN + Coalizione Canaria: 171 deputati, astenuti Junts e un altro partito della vecchia maggioranza di sinistra

  • Governo di sinistra PSOE + Sumar + ERC + Bildu + PNV + BNG + Junts: 179 deputati (con Catalogna e Paesi Baschi indipendenti?)

  • Governo di minoranza di sinistra PSOE + Sumar + ERC + Bildu + PNV + BNG: 172 deputati, si astiene Junts


Alla fine è successo di tutto ma non è successo nulla. Ad oggi mancano ancora i voti degli spagnoli all’estero, stimati sui 200 mila, che potrebbero muovere qualche deputato, con il PSOE che si è detto fiducioso in merito. Hanno vinto tutti ma non ha vinto nessuno, anche se le indicazioni di una sinistra in netto recupero sono chiare e vanno in controtendenza rispetto alla tendenza europea che vede un consenso sempre maggiore delle destre e grandi difficoltà a sinistra. La sinistra riparta da Perro Sánchez, verrebbe da dire.


Fonti:

[1] Redazione, Datos en partecipacion elecciones 23 julio, El Pais, https://elpais.com/espana/elecciones-generales/2023-07-23/datos-participacion-en-las-elecciones-23j

[2] Redazione, Resultados elecciones generales, Rtve, https://resultados-elecciones.rtve.es/generales/2023/congreso/

[3] Roberto Ruiz Anderson, Perro Sánchez... ¿Cuál es el origen de este apodo?, El Confidencial, 20 luglio 2023, https://www.elconfidencial.com/espana/2023-07-20/perro-sanchez-origen-apodo_3702947/








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