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  • Immagine del redattoreMatteo Monaci

La Rivolta del Pane, cronaca di un eccidio


"Giovane uomo, la tua aspirazione più mediocre è quella di essere un buon soldato. Un buon soldato non pensa, deve solo obbedire e, se gli ordinano di sparare, lui spara"
Jack London

111664: fu questo il numero di proiettili necessario a trucidare 81 cittadini italiani che protestavano per il pane a Milano, in quel maledetto 8 maggio del 1898. Tra loro vi erano anche 12 bambini. A dare l’ordine fu il generale Fiorenzo Bava Beccaris, chiamato a reprimere la rivolta, il quale di lì a poco avrebbe ricevuto per i suoi servigi l’onorificenza all’Ordine militare di Savoia dal re d’Italia Umberto I, nonché la nomina a senatore del Regno. Ma come si giunse al compimento di un tale massacro?


I fatti

Tutto era cominciato con la crisi delle attività agricole dovuta alla guerra doganale con la Francia, scoppiata a seguito dell’adesione dell’Italia alla Triplice Alleanza nel 1891, di cui facevano parte anche Germania e Austria. La crisi aveva portato negli anni successivi a un aumento vertiginoso del prezzo del pane, al quale il governo non aveva voluto dare risposta, nonostante gli accorati appelli della popolazione che, ridotta alla fame, chiedeva l’eliminazione del dazio sull’importazione del grano, così da ottenere prezzi più bassi. Nel 1898 scoppiarono a Milano, fin dai primi mesi dell’anno, le prime proteste spontanee, che coinvolsero migliaia di cittadini. Le tensioni si acuirono nel mese di marzo, quando la marcia reale fu duramente fischiata dalla popolazione durante la sua esecuzione e il patriota e poeta democratico e repubblicano Felice Cavallotti, che aveva preso parte in gioventù alla spedizione dei mille al fianco di Garibaldi, fu ucciso a duello dal conservatore Ferruccio Macola, dopo aver preso le difese dei cittadini. Ma la crisi si intensificò ulteriormente con lo scoppio della guerra ispanico-americana, che impediva l’importazione di grano dagli USA.


Il 6 maggio la situazione precipitò. All’uscita dallo stabilimento Pirelli un operaio venne fermato senza motivo da agenti in borghese mentre si accingeva a distribuire volantini del Partito Socialista assieme a un altro operaio, intervenuto per difenderlo. In risposta una folla di persone si accalcò presso la caserma in cui l’operaio fermato era stato condotto, invocandone la liberazione, ma venne dispersa dai carabinieri. Onde evitare disordini la mattina successiva molti industriali scelsero di lasciare chiusi gli stabilimenti, ma l’incendio era ormai scoppiato. Centinaia di lavoratori scesero in strada a manifestare e occuparono la stazione, al fine di impedire la partenza dei treni che trasportavano i cittadini coscritti per la leva militare obbligatoria. I manifestanti eressero inoltre per le strade barricate utilizzando i vagoni sottratti ai tram. Tutto sembrava rievocare le cinque giornate di Milano, svoltesi esattamente cinquant’anni prima e che avevano visto la popolazione opporsi alla dominazione asburgica. Fu proclamato lo stato d’assedio. Il generale Bava Beccaris, inviato a reprimere le proteste, diede ordine di far chiudere tutti i giornali dell’opposizione e di arrestare numerosi politici e giornalisti di orientamento repubblicano o socialista. Le proteste culminarono la mattina dell’8 maggio, quando, al segnale di un colpo di cannone a salve, l’esercito aprì il fuoco sulla folla. Dispersi gli altri manifestanti, il generale informò il governo che l’ordine a Milano era stato ristabilito, ma la repressione proseguì nei giorni successivi.


Il 9 maggio fu bombardato e assaltato il convento dei frati cappuccini, impegnati nell’assistenza ai bisognosi. Alcune delle persone all’interno del convento furono uccise, mentre i frati furono fermati con l’accusa di supportare i rivoltosi. Lo stato d’assedio perdurò fino all’estate, quando il re Umberto I si recò in visita a Milano. Fu dato ordine di consegnare tutte le armi da fuoco, venne vietata ogni forma di assembramento e fu posto divieto di circolazione dopo le ore 23. Fu inoltre vietato l’utilizzo di biciclette, utilizzate dai rivoltosi per spostarsi più rapidamente. Furono soppressi 14 periodici e numerosi politici e giornalisti vennero arrestati. Anche l’Osservatore cattolico, diretto da don Albertario, che aveva preso le difese della popolazione, venne chiuso. La camera del lavoro venne sciolta, assieme a 429 associazioni di lavoratori. Numerosi insegnanti furono ingiustamente licenziati, in quanto accusati di essere dalla parte dei sovversivi. Nei mesi immediatamente successivi, quasi duemila persone furono fermate e in centinaia furono sottoposte a processi sommari. Le udienze si svolsero in una sala del Castello Sforzesco, secondo la procedura prevista dai tribunali di guerra. Il ricorso ai testimoni era fortemente limitato, non erano concesse arringhe e le interrogazioni dell’accusa erano brevi e succinte. I resoconti dei giornali non potevano essere pubblicati senza prima essere stati sottoposti a censura. Ai cittadini era difficilmente permesso di assistere ai processi. Numerosi imputati furono condannati sulla base di accuse ridicole: era ad esempio sufficiente essere iscritti alla Camera del lavoro per essere indiziati di attività sovversive. Tra i condannati vi furono anche tre parlamentari dell’opposizione: il repubblicano De Andreis e i socialisti Turati e Morgari, accusati di aver fomentato la rivolta. Su pressione dell’opinione pubblica il re si troverà tuttavia costretto l’anno successivo a concedere un’amnistia ai rivoltosi condannati. Il generale Bava Beccaris sarà accolto a Roma con tutti gli onori e celebrato come un eroe dal governo e dalla monarchia sabauda. Eterno nemico del popolo e della patria, vent’anni dopo aderirà convintamente al fascismo, sostenendo la marcia su Roma e esortando il re Vittorio Emanuele III a nominare Mussolini capo del governo.


La rivolta di Milano fu una delle pagine più buie della storia d’Italia, che costò la vita a numerosi cittadini innocenti. Ma il loro sacrificio non è stato vano, perché diventato uno dei tasselli che nei decenni a seguire ha contribuito alla costruzione della nostra democrazia e del nostro sistema di protezione sociale, di uno stato non più assente e repressivo, ma impegnato attivamente nel sostegno ai cittadini meno abbienti perché sia garantita a tutti una vita dignitosa. Sarà il coraggio del popolo italiano che forgerà l’avvenire della patria.


"Ho una sola passione, quella della luce in nome dell’umanità che ha tanto sofferto e che ha diritto alla felicità"
Emile Zola

Fonti:

[1] Moti di Milano, Wikipedia, https://it.wikipedia.org/wiki/Moti_di_Milano

[2] Enciclopedia di Repubblica, Repubblica, 2004

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