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  • Immagine del redattoreMatteo Monaci

La stampa serve chi è governato, non chi governa


Recentemente mi è capitato spesso di ripensare a "La morte di Marat", alla forza dirompente di quel dipinto in cui il grande pittore Jacques Louis David ha saputo racchiudere il vero significato della parola “libertà”. Jean Paul Marat, medico, giornalista e deputato francese ai tempi della Rivoluzione, direttore del giornale L’Amico del Popolo, giace riverso nella vasca da bagno, assassinato per via delle sue idee. Ma la sua mano ancora sembra tenere in pugno la penna con la quale scriveva per il suo giornale. Quella penna ancora si erge a simbolo di speranza e trionfa anche sulla morte. E allora penso che Marat non è mai morto. Marat è Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, trucidati in Somalia. Marat è Peppino Impastato, assassinato dalla mafia per non essersi piegato al potere di Cosa Nostra. Marat è Daphne Caruana Galizia, saltata in aria a Malta dentro la sua auto. Marat è Gareth Jones, freddato dopo aver rivelato al mondo i morti per fame in Ucraina negli anni’30. Marat è Carl Von Ossietzky, premio Nobel per la pace, morto in un lager nazista per aver osato sfidare il Terzo Reich. Ma, oggi più che mai, Marat è Alexey Navalny, di cui apprendo in questi istanti la scomparsa nel gelo di una prigione in Russia. Loro vivono ancora e il loro coraggio, la forza con cui hanno lottato in nome della libertà di espressione non saranno mai dimenticati. Immane è stato il prezzo che hanno pagato per il trionfo della verità, per il quale hanno sacrificato ogni cosa, compresa la propria vita. E il mio pensiero non può che andare allora a un uomo di nome Julian, che attende a Londra, nell’oscurità più profonda, il verdetto che decreterà il suo destino. Se mai il verdetto dovesse essere sfavorevole, allora il sacrificio di così tanti uomini e donne sarà stato vano. Allora, la penna in quel dipinto, così come l’uomo che la impugna, rimarrà per sempre riversa.

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