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  • Immagine del redattoreMatteo Monaci

Mohammad Mossadeq: i giorni della democrazia


Il 19 agosto di settant’anni fa veniva rovesciato in Iran il governo democraticamente eletto di Mohammad Mossadeq con un golpe militare appoggiato dallo scià di Persia Mohammad Rezha Pahlavi e supportato dai servizi segreti britannici e statunitensi. Ma chi era davvero quest’uomo così tanto temuto dalle élites in Occidente?


Nato a Teheran il 19 maggio 1882 da una famiglia benestante (suo padre era infatti un funzionario delle finanze della Persia) divenne fin da giovane un fervente oppositore del regime autoritario degli scià e fu perciò costretto più volte a prendere la via dell’esilio. Proseguì i suoi studi in Francia prima e in Svizzera poi, laureandosi in giurisprudenza e apprendendo il funzionamento dei sistemi democratici in Europa, che destò in lui profonda ammirazione e da cui rimase affascinato. Quando la Seconda guerra mondiale si avviava ormai a conclusione e l’Iran, occupato dagli Alleati, pareva finalmente aver intrapreso la strada per la democrazia, a seguito dell’incoronazione del nuovo scià Rezha Pahlavi, fece ritorno in patria e si candidò nelle fila del Fronte nazionale, venendo eletto al parlamento iraniano.


Nominato primo ministro nel 1951, Mossadeq scelse come primo atto di non rinnovare la concessione per lo sfruttamento del petrolio alla Anglo-Iranian Oil Company, una società britannica che aveva operato fino ad allora sotto l'avallo dello scià, al fine di arrestare l’impoverimento del Paese, generato dallo sfruttamento straniero delle proprie risorse nazionali. Il passo decisivo fu l’istituzione della National Iranian Oil Company, controllata dallo stato iraniano stesso e a cui fu affidata l’attività di sfruttamento dei pozzi petroliferi. Ma Mossadeq pagò cara la sua scelta, dal momento che il Regno Unito rispose duramente, imponendo sull’Iran un blocco navale che comportò di fatto un embargo sul Paese. Il primo ministro iraniano non si lasciò intimidire e pronunciò un importante discorso in difesa della sovranità del proprio Paese presso il Consiglio di Sicurezza dell’ONU a New York, discorso che gli valse il titolo di uomo dell’anno, conferitogli dalla rivista TIME, oltre che una prima vittoria diplomatica. Il passo successivo della Gran Bretagna fu quello di appellarsi alla Corte Internazionale di Giustizia. Nonostante la pronuncia della Corte a favore dell’Iran, l’embargo da parte britannica proseguì nei due anni successivi fino a ridurre la nazione allo stremo.


Mossadeq tentò di non piegarsi e scelse di proseguire nelle sue riforme, convinto nel voler realizzare un sistema pienamente democratico, fondato sui principi di libertà e uguaglianza. Impose una tassazione progressiva, invisa ai grandi proprietari terrieri, tagliò le spese militari, s’impegnò nella costruzione di un sistema sanitario nazionale in grado di garantire cure agli indigenti e ridistribuì le terre tra i contadini meno abbienti. Al fine di arrestare l’impoverimento generato dal blocco, Mossadeq tentò di trattare con il Regno Unito, proponendo un accordo che prevedeva la divisione a metà dei profitti generati dal petrolio tra i due Paesi, ma Londra rifiutò. Il primo ministro britannico Churchill faceva pressione sugli USA perché assumessero posizione contro Mossadeq, utilizzando come pretesto l’appoggio dato dai comunisti al governo iraniano e accusando il Paese di avvicinarsi alla sfera sovietica, nonostante Mossadeq avesse sempre ripudiato il comunismo. Mossadeq era inoltre inviso agli islamisti fedayyn, che, sebbene avessero inizialmente appoggiato il governo, si erano poi distanziati temendo una svolta democratica nel Paese. Ma chi più di tutti avversava il governo era lo stesso scià, che temeva il rafforzamento del parlamento perseguito da Mossadeq e mirava invece a restaurare un regime che vedeva poteri accentrati nelle proprie mani, consentendogli di nominare metà dei componenti del senato. Temendo le mosse dello scià, a metà del 1953 Mossadeq emanò un decreto con cui sciolse il parlamento.


Pochi mesi dopo, il 19 agosto, l’operazione Ajax, studiata da britannici e statunitensi prese piede, con il risultato della destituzione del primo ministro imposta dallo scià che scelse come successore il generale Zahedi. Ma il popolo rispose scendendo in piazza a sostegno del governo democraticamente eletto, facendo inizialmente fallire il golpe e costringendo lo scià a fuggire dal Paese. Successivamente, tuttavia, dei provocatori sostenuti dallo scià si finsero esponenti del partito comunista, inneggiando alla rivoluzione proletaria e la popolazione, intimorita, si ritirò dalle strade lasciando che reparti dell’esercito attuassero nuovamente un golpe e rovesciassero il governo. Lo scià fece ritorno in Iran e Mossadeq fu condannato a morte, pena poi commutata in detenzione e successivamente in detenzione domiciliare a vita.


La Anglo Iranian Oil Company fu reistituita, questa volta affiancata anche da compagnie statunitensi. I partiti politici furono messi al bando e numerosi oppositori dello scià catturati dalla polizia segreta, torturati e fucilati. Terminava così per sempre l’esperienza democratica dell’Iran. Mossadeq morirà solo e dimenticato il 4 marzo 1967. A seguito della rivoluzione del 1979 lo scià sarà deposto, ma la democrazia non farà mai più ritorno in Iran. Al suo posto sorgerà una feroce teocrazia che sopravvive tutt’oggi.


Fonti:

[1] Mohammad Mossadeq, Wikipedia, https://it.wikipedia.org/

[2] Operazione Ajax, Wikipedia, https://it.wikipedia.org/

[3] Enciclopedia di Repubblica, 2004



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