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  • Immagine del redattoreGiulio Ardenghi

La grande distribuzione ideologica: possiamo fidarci degli influencer?

Il 5 novembre scorso si è tenuto, presso le Officine delle Grandi Riparazioni di Torino, un dibattito in cui Cecilia Sala – firma del Foglio - e Francesco Costa – vicedirettore del Post – hanno discusso sul tema “Politica Netflix. Influencer che cambiano il mondo?”. Il termine “politica Netflix” indica il concetto ideato dallo studioso di scienze politiche e sociali Lorenzo Pregliasco – direttore di YouTrend e moderatore dell’incontro - che denota, in breve, il fatto che più persone famose si espongano pubblicamente su temi politici precisi senza però ricoprire ruoli istituzionali o partitici, e senza sposare in toto le ideologie a cui determinate battaglie vengono associate.


Verso la fine dell’evento[1], ai due relatori sono state poste due domande: la prima chiedeva se, in definitiva, l’attività di stampo politico svolta dagli influencer fosse da considerare una cosa positiva o negativa; la seconda, invece, verteva su come le tempistiche con cui si porta avanti una battaglia possano influire sul suo risultato finale. Rispondendo a entrambe, Costa ha affermato:


Il rischio è valutare se è positivo o negativo sulla base di quanto poi queste campagne eventualmente ci piacciono. Proviamo a fare un esercizio e fare il dibattito di stasera partendo dalla posizione che Fedez, uno dei principali influencer italiani con oltre dieci milioni di followers (sic), ha fatto una lunghissima campagna contro il DDL Zan. (…) Secondo me avremmo fatto una discussione un po’ diversa.[2]


È sicuramente vero che tutti noi valutiamo la bontà di una campagna promossa da un influencer sulla base di quello che già pensiamo della campagna stessa. Ma a parte questo, si può tirare le somme e dire che l’attività degli influencer, a prescindere dal contenuto delle battaglie che portano avanti, sia una cosa negativa o positiva? Probabilmente no. D’altronde, anche Sala ha invitato a resistere alla tentazione, nella quale è così facile cadere, di scegliere una fazione a tutti i costi [3].


Lorenzo Pregliasco, Cecilia Sala e Francesco Costa durante il dibattito | Foto Emanuele Orrù/Toc Toc Sardegna


È invece possibile avventurarsi un po’ più in là e provare a discernere alcuni aspetti positivi che il ruolo stesso degli influencer presenta? Probabilmente sì.


Tra gli aspetti positivi c’è la sensibilizzazione di un gran numero di persone verso argomenti con cui non tutti avrebbero modo di confrontarsi altrimenti. Se qualcuno ha la facoltà di raggiungere molte persone che lo rispettano abbastanza da prestare attenzione a quello che dice, è giusto che usi bene il suo potere comunicativo e porti quante più persone possibili a riflettere su problemi che generalmente non ci poniamo. In secondo luogo, anche se non sempre lo ammettiamo, una battaglia ideologica non si porta avanti con il solo potere della dialettica e della logica. Le rivendicazioni dei giorni nostri relative al genere e alla decostruzione dell’eteronormatività non avrebbero molto seguito se chi le portasse avanti si limitasse a citare le opere di Judith Butler o di Jacques Derrida. Serve anche una dimensione comunitaria, un elemento che possa coinvolgere emotivamente e portare molte persone a stringersi e intonare canti e slogan dall’efficacia retorica immediata. E proprio questa è la competenza di chi lavora in rete e ha un grande seguito.


D’altro canto, ci sono anche alcuni aspetti negativi. L’influencer, proprio in virtù del suo non essere né un politico né un teorico di alcun tipo, rischia di portare i suoi follower a difendere posizioni impraticabili che chi invece ha il compito di discutere le leggi non prende neanche in considerazione. Ancora peggio, si rischia di far passare l’idea che le posizioni che l’influencer promuove sono ovviamente vere e giuste, e che chi si oppone a esse lo fa solo per un bigottismo irrazionale. Non è quasi mai così. Chi si informa prevalentemente seguendo determinati profili raramente si renderà conto di quanto spinosi temi come l’eutanasia o la legalizzazione delle droghe siano in realtà, e che ci sono filosofi e autori che dedicano gran parte del loro tempo a valutare tutte le particolari argomentazioni pro e contro di ciascuno di essi.

Inoltre, quando la comunicazione è basata più sulla retorica che sulla sostanza, capita che alcuni personaggi famosi, dal nostrano Bello Figo al più famoso opinionista britannico Milo Yiannopoulos, si dedichino a portare avanti battaglie che in realtà non esistono o che sono contraddittorie per divertirsi alle spalle di chi ci casca o chi reagisce male ai loro contenuti. Ci sono poi anche quelli che veicolano messaggi estremisti mischiati a post chiaramente sarcastici e assurdi. Un esempio in questo senso è lo youtuber svedese che risponde al nome di The Golden One, che pesca dallo slang dei bodybuilder e dai miti nordici per portare avanti cause xenofobe e ultrareazionarie.


Un obiettivo che gli influencer potrebbero porsi è esattamente quello che già hanno i medici e gli educatori: diventare inutili. Un influencer può essere la porta di ingresso per molti verso materie di studio e autori che sono poco conosciuti ma molto importanti. Informandosi in modo più approfondito, i loro follower saranno anche in grado di avere opinioni più informate e sofisticate, e di scegliere con cura le battaglie che vale la pena combattere. D’altronde, come sa bene chi ha familiarità con le opere di Paulo Freire, né le persone né le società possono cambiare in meglio se prima non imparano a guardare con occhio critico alla situazione in cui sono immerse. Altrimenti il rischio sarà sempre quello di rimettere in atto i meccanismi stessi che li opprimono.


Fonti: [1] Accessibile al link: https://www.facebook.com/youtrend/videos/811432506273834, consultato il 6 novembre 2021; timeframe 1:40:10

[2] Ibid. 1:44:44

[3] Ibid. 1:42:31


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