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  • Federico Deiana e Marco Fanari

Quale futuro per l’Europa: dalla pandemia al Next Generation EU


Whatever it takes”. Questa è la frase che Mario Draghi, all’epoca presidente della Banca Centrale Europea, pronunciò il 26 luglio 2012 per difendere la zona euro dalla crisi economica. In poche parole venne racchiusa l’idea di tutelare e salvaguardare “ad ogni costo” le istituzioni politiche ed economiche che compongono l’Unione Europea.


Questo principio rimane di stretta attualità, in particolare nel periodo che stiamo vivendo che è dominato dalla crisi causata dalla dilagante pandemia del Covid-19. Gli stati membri dell’UE stanno affrontando, infatti, un’emergenza che sta mettendo in ginocchio le loro economie e, per questa ragione, le istituzioni comunitarie hanno deciso di entrare in gioco attraverso degli interventi concreti e tangibili. Il principale è il “Next Generation EU” (NGEU), ossia un programma di aiuti economici che ha come precipuo scopo la restaurazione e il rinnovamento del sistema sociale, economico e politico comunitario.


Per avere un’idea più lucida della strutturazione dell’NGEU possiamo indicare i suoi macro-obiettivi principali: la transizione verso un’economia verde (“Green Deal”); la digitalizzazione; lo sviluppo sociale e culturale. Si tratta di aiuti trasversali che raffigurano una concreta possibilità di affrontare le avversità conseguenti al Covid. È interessante ricordare, inoltre, che in questo periodo l’interpretazione del termine “Next Generation” stia sempre più virando verso il significato di “New Generation”. L’opportunità che viene prospettata è, infatti, quella di dare ampio spazio alle nuove generazioni, quindi ai giovani che debbono iniziare ad acquisire le adeguate conoscenze per comprendere il concetto di progettualità europea. In un certo senso l’avvento dell’NGEU è lo stimolo per mettere al passo coi tempi l’attuale classe dirigente e per dare spazio ai “nuovi” giovani che si formeranno sulle metodologie comunitarie.


Affianco a queste spinte che possiamo comunemente definire eurocentriche dobbiamo tenere presente anche le ideologie euroscettiche che mettono sempre più in dubbio l’utilità dell’Unione europea. Queste correnti di pensiero sono ricomprese nell’ampio alveo dei nazionalismi, perché rivendicano la sovranità del singolo stato membro e ritengono che l’ingerenza europea sulle scelte del singolo paese siano illegittime. Siamo, perciò, di fronte ad una critica ai principi fondamentali del progetto europeo che è considerato come un “blocco” per la crescita del singolo stato. Si pensi ad esempio al cosiddetto gruppo di “Visegrad”, dove specialmente Ungheria e Polonia rasentano a malapena il confine tra stato democratico e autoritario, o si pensi al fenomeno della “Brexit”. Ma si pensi anche ai falchi del Nord Europa. Paesi fondatori della Comunità Economica Europea come Olanda e Germania che in piena pandemia si opponevano con forza alla creazione di titoli di stato comunitari, tanto da suscitare lo sgomento di una figura serafica ma al tempo stesso carismatica, come quella del Presidente Mattarella. Potremmo citare in causa la Danimarca, sempre ai vertici delle classifiche sui diritti umani. Eppure, ferrea sostenitrice di una politica anti-migratoria è la sua presidente Mette Frederiksen (socialdemocratica). O ancora l’Irlanda e il Lussemburgo, che con i rispettivi regolamenti fiscali rappresentano una spina nel fianco per la lotta interna contro il dumping e l’unificazione della legislazione fiscale.


L’Italia stessa ha avuto un periodo di forte risentimento contro l’Unione Europea. Un risentimento che inizia con la crisi del debito nel 2011 e vede il suo punto più alto con la nomina a ministro dell’interno del segretario della Lega Matteo Salvini. Eppure proprio l’Italia oggi è uno stato sponsor di numerosissime iniziative che promuovono il rilancio dell’idea di Europa. Una su tutte, la maggiore integrazione nel campo della Politica Estera e di Difesa Comune dell’UE, da tempo una proposta che Roma avanza per migliorare ulteriormente il ruolo europeo di baluardo mondiale dei diritti umani. O ancora la creazione di partiti europei di respiro continentale che siano più simili a un modello federale e risentano meno delle singole influenze nazionali.


In conclusione, è innegabile che attualmente l’opinione pubblica europea sia divisa su quale debba essere il futuro dell’Unione. Per citare Craxi, l’Europa non può più vivere in questo stato di limbo. È per questa ragione che riteniamo necessario individuare in modo chiaro quali siano le problematiche che affliggono l’UE, in modo tale da comprenderle e riflettere su di esse. Cercheremo, in altre parole, di capire il problema nell’ottica di una prospettiva futura con un ciclo tematico di articoli, valutando quale possa essere la “chance” migliore per l’Italia e l’Europa.

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