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  • Immagine del redattoreAlessandro Manno

È stato leggenda: iconografia di Gigi Riva


È morto Gigi Riva.


Vederlo scritto sembra strano, quasi assurdo. Perché si è sempre pensato che lui no, non sarebbe mai morto. Che sarebbe vissuto in eterno, come eterne erano le imprese che con un pallone tra i piedi aveva compiuto sui campi da calcio a cavallo tra gli anni ’60 e ’70. Un mito generazionale. Un “hombre vertical”. Un eroe. Un sardo. Il più sardo tra tutti, anche se in realtà lui non lo era, ma i sardi li aveva capiti così bene da cogliere l’essenza di una terra e un popolo che, circondati dal mare, hanno sempre vissuto le vicende del mondo quasi con distacco, con una lontananza, a volte anche temporale, che ancora oggi causano enormi problemi di varia natura.


Se si dovesse dipingere Gigi Riva, se lo si dovesse raffigurare con dei simboli ben definiti, sicuramente ci sarebbe la maglia bianca, iconica, del Cagliari dello Scudetto. Poi la sigaretta che in quegli anni si fumava a tutte le ore, prima, durante e post allenamento. E poi lo sguardo malinconico che lo ha sempre accompagnato per tutta la sua vita. Probabilmente un disco di Fabrizio De Andrè, magari un vinile autografato proprio da Faber. E poi il Tuono: quel rumore che viene prima del lampo e che lo ha consegnato all’epica sportiva grazie alla penna di Gianni Brera. Magari un giorno con l’intelligenza artificiale proveremo a vedere come potrebbe uscire…

 

Ma se si dovesse spiegare chi è stato Gigi Riva per i tanti che non l’hanno mai visto giocare, che hanno di lui soltanto immagini sbiadite, che a malapena se lo ricordano con la giacca e gli occhiali da sole al seguito della Nazionale italiana, cosa si potrebbe dire? Beh, che è stato leggenda.

È stato il simbolo di una città, di una regione, di un popolo intero che nella sua persona si è riconosciuto completamente, affidando alle sue gesta calcistiche e alle sue imprese il sogno di un riscatto non solo sportivo, ma anche e soprattutto sociale. La dimensione leggendaria si perde in un’epoca dove andare in Sardegna non significava andare in vacanza al mare, ma voleva dire andare in esilio perché si era fatto qualcosa di sbagliato.

 

E Riva quando arriva a Cagliari si domanda che cosa abbia fatto di sbagliato per meritarsi tutto quello: il campo sterrato dove si allenava la squadra che lo aveva preso e che in quel momento militava in Serie B, le strade che definire disastrate sarebbe stato un eufemismo, il caldo bestiale che in estate batteva forte sulla testa e ti strangolava sino a farti soffocare, il vento che ti portava via nelle giornate in cui tirava forte e spingeva verso il mare.

 

Questa dimensione leggendaria, in bianco e nero, che per chi è nato nemmeno vent’anni fa ha tutto il sapore della storia, non ha fatto altro che astrarre Luigi Riva dalla dimensione terrena ed elevarlo, già molto tempo prima della sua scomparsa.

 

Quando muore una persona famosa, quando muore una leggenda, inevitabilmente non si riesce a parlare soltanto di lui. Si parla inevitabilmente di sé stessi. E non è per egocentrismo. Legare la propria esistenza, le proprie esperienze quotidiane a ciò che ha fatto qualcuno è dare il più alto riconoscimento alla persona scomparsa. Gigi Riva, che in molti casi non si è mai visto se non in foto o per i più fortunati di sfuggita in strada quando ancora era solito passeggiare per le vie del centro di Cagliari, per noi più giovani è stato un simbolo di valori.

Valori come la riconoscenza, l’onore, il rispetto della parola data, l’attaccamento alla terra, l’umiltà, la leadership, il coraggio. Ecco, Riva è stato un esempio in un mondo dove ci si lamenta che non esistono persone che possano veicolare messaggi positivi ai più giovani. Inevitabilmente, senza volerlo, lui lo è stato. Forse perché non era il suo obiettivo, non si sentiva nato per quello, probabilmente se glielo si fosse proposto avrebbe detto di non sentirsi in grado. Lo scudetto del 1970, il successo sportivo più importante nella storia centennale del Cagliari Calcio, non si può spiegare senza Riva che ne è stato il principale artefice e senza la sua scelta di restare a vivere in Sardegna e non cedere neanche dopo la fine della sua carriera alle sirene che lo avrebbero voluto lontano dall’Isola. Perché, prima lezione di vita di Gigi Riva, il rispetto della parola data è la cosa più importante. “Io non me ne vado” disse ai cronisti che gli chiedevano se avrebbe accettato di trasferirsi alla Juventus che in quegli anni cercava in tutti i modi di convincerlo a trasferirsi a Torino. No, lui non se ne è andato. Neanche nella sera di martedì 23 gennaio, quando un infarto ha deciso che era ora di lasciare la vita terrena nel quale era stato imprigionato per troppo tempo e consegnarsi definitivamente alla leggenda.

 

Addio Gigi, sei stato leggenda. E il tuo esempio, la tua storia, le tue imprese, non moriranno mai.

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