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  • Francesco Ortu

La questione della povertà in Italia



Il 25 ottobre 2023, l’ISTAT ha pubblicato il consueto rapporto annuale sulla condizione di povertà in Italia relativo al 2022.


Prima di procedere all’esposizione dei dati, per facilitare e rendere più agevole la comprensione e la lettura, per coloro i quali non sono particolarmente avvezzi ai dati e agli indicatori utilizzati dall’istituto statistico nazionale, procediamo con una piccola spiegazione metodologica.

In primo luogo, ci concentriamo sulla povertà, la quale può essere di due diverse categorie: quella assoluta e quella relativa. La prima viene testualmente definita la condizione in cui "una famiglia ha una spesa per consumi inferiore o uguale al valore monetario di un paniere di beni e servizi considerati essenziali per evitare gravi forme di esclusione sociale" [1]. Parafrasato in maniera più semplice, si può dire che si è in uno stato di povertà assoluta quando si è nell’impossibilità o nell’estrema difficoltà di acquisire e consumare i beni e servizi minimi per condurre una vita dignitosa. La seconda tipologia, la povertà relativa, al contrario si riferisce alla mancanza di risorse necessarie "per mantenere lo standard di vita corrente e medio della società in cui si vive" [2], ovvero la condizione di difficoltà e arrancamento rispetto al tenore di vita del luogo di riferimento.

Chiarite ambedue queste categorie, possiamo spostarci sull’indicatore di riferimento per descrivere la condizione di disagio economico in un territorio: l’incidenza. Questa, calcolabile per entrambe le tipologie di povertà, indica il rapporto percentuale, dunque il peso, delle famiglie o degli individui poveri sul totale.


Avendo quindi dato le giuste premesse possiamo osservare i dati dell’ISTAT. Innanzitutto, è presente un netto peggioramento dell’incidenza della povertà assoluta sia per quanto riguarda le famiglie, le quali salgono dal 7,7% all’8,3%, che per gli individui, che vedono un’impennata dal 9,1 al 9,7%. Per quanto riguarda l’incidenza della povertà relativa rintracciamo, al contrario, una lieve diminuzione per le famiglie ed uno status quo per gli individui. [3] Per comprendere meglio il cambiamento possiamo prendere in considerazione anche i poveri in valore assoluto. Per quanto riguarda gli individui in stato di deprivazione (povertà assoluta, ndr) osserviamo come questi nel 2022 fossero 5,6 milioni, con un aumento di circa 300.000 unità, mentre assistiamo a una diminuzione di circa 100.000 individui per l’altra classificazione (poveri in una condizione di povertà relativa, ndr).


Possiamo offrire una panoramica ancora più precisa andando ad analizzare il dato per le macroaree geografiche, in modo da vedere dove la povertà sia aumentata maggiormente. Per fare ciò ci riferiamo ai grafici che, come preventivabile, testimoniano un maggiore peso che si abbatte sulle regioni più fragili, ovvero quelle meridionali.

Le ragioni di queste condizioni, come specifica pure il comunicato, sono principalmente riscontrabili nell’inflazione dovuta al conflitto russo-ucraino che, come contraccolpo, ha portato ad un insostenibile caro vita per gli italiani, i quali hanno visto il crollo inesorabile del proprio potere d’acquisto e della propria capacità di spesa. Evento che, inoltre, è avvenuto dopo un’altra crisi, quella del Covid, che aveva già indebolito le finanze dei cittadini.

Potremmo apparentemente concludere che questo risultato sia la conseguenza di una situazione congiunturale, frutto di eventi “occasionali” i cui effetti sono destinati ad esaurirsi.


È tuttavia necessario aprire un’ulteriore parentesi sui problemi cronici, ovvero strutturali, di cui soffre l’Italia e che hanno alimentato questa situazione. Possiamo innanzitutto prendere in considerazione l’evoluzione storica dei dati sull’incidenza.

 

 

Dai grafici, sia dall’evoluzione storica dal 2014, che dall’evoluzione considerando il 2014 come anno base, osserviamo come l’incidenza della povertà abbia seguito un percorso di aumento più o meno continuo, confermando quindi come questo sia stato praticamente stabile e duraturo. La crescita della povertà non si rivela quindi un evento eccezionale, ma è qualcosa già presente da parecchi anni. Anche in questo caso proviamo a trovare conferma attraverso il numero dei poveri in valore assoluto.


Qui l’andamento conferma una crescita del numero di indigenti, con entrambe le categorie che trovano un punto in comune: la diminuzione, nel 2019, in seguito all’introduzione del reddito di cittadinanza che attenuò, come un palliativo, la crisi di molteplici individui.


Possiamo dunque chiederci da cosa derivi questo percorso in cui la Penisola è incappata, andando a cercarne le origini. Le cause sono varie ma complementari fra loro.

Innanzitutto abbiamo il problema della struttura del mercato del lavoro e imprenditoriale nazionale. In Italia, infatti, il quasi 90% delle imprese attive è di micro, piccola o media dimensione, il settore di attività è con netta prevalenza quello del terziario, dunque commercio e servizi, e una fetta consistente è a conduzione familiare o occupa meno di 10 individui. Come ciò determina una maggiore povertà? Tali imprese ovviamente sono meno produttive, capaci di occupare meno lavoratori e, grazie alla maggiore flessibilità e l’elevato ricorso al sommerso, possono attuare una forte compressione salariale, il tipico dumping, che alimenta retribuzioni così basse da sfociare in situazioni di “working poors” ovvero individui che rimangono in condizioni di disagio nonostante siano occupate e che, di conseguenza, devono svolgere più lavori per raggiungere condizioni accettabili. Ciò è inoltre una spiegazione per la condizione delle retribuzioni reali italiane, cosa su cui abbiamo un vero e proprio primato: come testimoniato da Openpolis, non solo queste non hanno subito variazioni in aumento, ma sono anche l’unico caso di riduzione in tutta Europa. [4]

Questo significa dunque che i cittadini, al progressivo variare del costo della vita, hanno visto sempre più logorarsi il proprio potere d’acquisto e la propria posizione economica, che ha progressivamente aumentato la platea di persone in difficoltà.


La situazione è stata peggiorata da due elementi, entrambe responsabilità del legislatore: la mancanza di un salario minimo e di politiche sociali di contrasto. Per quanto riguarda la prima il nostro Paese è l’unico Stato dell’Europa occidentale ad avere una disciplina sulle retribuzioni minime e, ad oggi, è terreno di scontro fra le forze politiche. Per quanto riguarda le politiche sociali si è preferito, nel tempo, predisporre politiche attive per il lavoro volte alla riqualificazione professionale piuttosto che affrontare in maniera diretta la questione della povertà, come il REI (Reddito di Inclusione, ndr) o l’attuale MIA (Misura di Inclusione Attiva, ndr), tutte politiche che si sono scontrate con un fallimento per via della mancata considerazione degli individui nelle sacche grigie di occupazione o di un mercato del lavoro con pochissima domanda. L’unica proposta politica in grado di rispondere a tale esigenza, come abbiamo visto, è stato il Reddito di Cittadinanza che, nonostante gli oggettivi limiti, ha svolto una funzione di paracadute per le frange più fragili della popolazione sino alla sua dismissione.


Possiamo perciò concludere che, seppur la condizione attuale dipenda sì dall’inflazione, l’intensità e la gravosità di questa ha radici lontane, rimarcando come il legislatore, per volontà o meno, non sia riuscito a dare risposta diretta ad un problema così annoso e radicato, relegando questo affare a politiche inefficaci ed ideologiche e permettendo a questa piaga sociale di affliggere porzioni sempre più importanti di cittadini.


Fonti:

[1] Analisi della povertà assoluta, ISTAT, https://www.istat.it/it/

[2] Povertà relativa (basata sul reddito), Regione Emilia-Romagna https://statistica.regione.emilia-romagna.it

[3] Le statistiche dell'ISTAT sulla povertà-anno 2022, ISTAT, https://www.istat.it

[4] Quanto guadagnano in media i cittadini europei, Openopolis, 13 ottobre 2021, https://www.openpolis.it/


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