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  • Immagine del redattoreAlessandro Usai

Sistema sanitario della Sardegna: lo stato (aeriforme) dell’arte



Immaginate un sistema sanitario regionale come una persona che indossa un cappotto invernale. All’interno di questa immagine, la rete o struttura organizzativa del sistema, è la parte esterna del cappotto; la parte interna che mantiene il corpo comodo e al caldo, invece, sono i finanziamenti e le politiche (di ogni gerarchia) che, se fatti ad hoc (come la struttura del cappotto), riescono a coprire il soggetto perfettamente tenendolo al riparo; la persona, infine, rappresenta il personale medico sanitario: se questo però è assente, la carne sarà all’osso (un’immagine giolittiana dei SSR).


Dagli anni Novanta ai primi anni Duemila, il Governo centrale ha stipulato accordi ed emanato riforme per fare in modo che le varie regioni fossero autonome nella formazione di sistemi sanitari che fossero creati per le proprie esigenze territoriali, senza però garantire politiche e finanziamenti adeguati alla missione posta all’inizio.


L’attuale Servizio Sanitario Nazionale è stato modificato con una serie di riforme, decreti e accordi avvenuti negli anni. Partendo dalla riforma del 1992, con la quale si è passati da 659 USL a 209 ASL [1] (accorpando strutture e funzioni in tutto il territorio) e passando per il DM 70/2015 [2], con il quale è stata ridotta la dotazione di alcuni SSR, sia per “Standard qualitativi” (art. 1 DM 70/2015), sia per un ricalcolo dei posti letto ogni mille abitanti, sulla base di un numero di ospedalizzazioni di 160/1000 abitanti. [3]

Quest'ultima riforma, oggettivamente, non tiene conto del territorio in cui dev’essere applicata: regioni come Sardegna, Calabria e Sicilia, prendendo ad esempio solo alcuni SSR, non hanno una viabilità che facilita gli spostamenti verso le strutture in tempi ottimali ed è stato investito poco per la formazione di personale adeguato su tutto il territorio (anche in termini di numeri). Infatti, la creazione di borse di specializzazione (per cui si parla di “imbuto formativo”) [4] e l’ampliamento del numero chiuso dei test universitari per Medicina, Infermieristica e le restanti Professioni sanitarie è sempre scarno e, in più, viene sempre svolto negli stessi centri urbani (per questo le nuove figure professionali sanitarie non sono incentivate a tornare nel proprio territorio d’origine).


I risultati di questi ultimi 30 anni li abbiamo di fronte ai nostri occhi, con i tempi di attesa che continuano ad aumentare per mancanza di strutture, posti letto [5] e personale specializzato [6], e pazienti che sono costretti ad andare in altre regioni o, se possono permetterselo per propria capacità economica, all’estero alla ricerca di cure più adeguate o di un servizio che dovrebbe essere garantito per diritto Costituzionale.

Solo nel 2021 in Sardegna sono stati pagati più di 34 milioni di euro per prestazioni svolte in altre regioni, basti guardare i dati AGENAS sulla mobilità attiva contro quella passiva (tabelle 1 e 2). [7]


Tabella 1 : Costi contro i ricavi per la regione Sardegna (2017-2021)

Tabella 2: Costi o Ricavi per regioni dati dalla Mobilità nel 2021

Questo dato può essere visto come un sintomo di un SSR che non funziona per com’è stato concepito, in quanto un SSR affronta un costo sia per provare a garantire i servizi per cui è predisposto, sia per pagare le cure che vengono effettuate verso i propri cittadini in un’altra regione. Di conseguenza, i SSR che funzionano continuano ad essere finanziati mentre quelli non performanti hanno sempre meno risorse su cui possono fare affidamento per garantire le normali funzioni e/o per un’eventuale iniziativa che possa modificare l’organizzazione. Un sistema zoppo.


Il personale sanitario dell’isola

In Sardegna, insieme a questi problemi organizzativi, si unisce il fatto che il personale sanitario dell’isola è esiguo e la maggior parte si trova in difficoltà, poiché svolge turni massacranti e sottopagati, nonostante le responsabilità che detiene. Il problema aumenta ulteriormente perché molti medici sono in età da pensione, alcuni si trasferiscono verso migliori lidi e altri si dimettono perché schiacciati dallo stato del SSR. [8]

In molte parti del territorio ci sono difficoltà a garantire i servizi di base, per esempio, la Continuità assistenziale (o Guardia medica): nella provincia di Oristano (a seguito delle ultime vicende), in caso ci sia un estremo bisogno, l’utente deve sperare che il giorno in cui si sente poco bene sia il lunedì o il mercoledì, poiché il resto della settimana, attualmente, non viene garantita la Continuità assistenziale [9]; nella medesima situazione anche l’ospedale di San Gavino, all’interno del quale ci si affida allo spirito di sacrificio del personale del Pronto Soccorso per fare fronte agli effetti negativi di politiche come il “blocco del turnover, e cioè l’impossibilità di reintegrare gli organici dalle cessazioni di servizio” avvenuto nel 2007 (Pinna R.). [10]

Inoltre, servizi con un’alta specializzazione nel territorio vengono considerati di nicchia, perché mancano figure nel SSR, per cui non si riesce a coprire l’intero bacino d’utenza, ad esempio nella branca di oncologia. [11]


Attualmente la sanità nazionale fatica a rispondere alle esigenze dell’utenza e una nuova riforma solo in materia sanitaria servirebbe a poco. Sarebbero auspicabili interventi su varie materie per garantire un servizio migliore, con l’obiettivo primario che rimane assicurare i LEA (Livelli Essenziali di Assistenza). [12] Per quanto riguarda il Sistema Sanitario Regionale della Sardegna, questo potrebbe avere le possibilità per poter garantire i minimi servizi sul territorio: la commistione tra le strutture pubbliche e private e l'AREUS (la rete che si occupa dell'emergenza-urgenza sull'isola) funzionerebbe, con qualche accorgimento. Purtroppo per l'isola ci sono tuttavia sempre meno finanziamenti per il sostentamento del sistema e si investe poco sulla ricerca (perché a livello Nazionale si punta di più sui grandi centri, non consentendo agli altri territori di essere autonomi per i servizi) e la presenza del personale sul territorio si trova sul viale del tramonto.


Ormai è già autunno.


Fonti:

[1] Francesco Capria, La sanità italiana a 30 anni dall’aziendalizzazione: obiettivi raggiunti e sfide future, Assidim, 2 settembre 2022, https://www.assidim.it/

[2] Decreto Ministeriale, 2 aprile 2015 n. 70, Regolamento recante definizione degli standard qualitativi, strutturali, tecnologici e quantitativi relativi all'assistenza ospedaliera.

[3] Art. 1, co. 4, del DM 70/2015 https://www.camera.it/

[4] Marco Gritti, In Italia i medici non mancano. Ecco come stanno davvero le cose negli ospedali, AGI, 27 marzo 2020, https://www.agi.it/cronaca/news/

[5] Redazione, Ospedali in Sardegna, solo 147 posti letto per la riabilitazione, TrueNumbers, 2022, https://www.truenumbers.it/ospedali-in-sardegna/

[6] Redazione, Anestesia: 24 posti e solo 2 occupati. Specializzazioni deserte a Sassari, La Nuova Sardegna, 28 ottobre 2023, www.lanuovasardegna.it

[7] Per mobilità passiva s’intende il fenomeno in cui l’utenza che si sposta in altre regioni in cerca di cure; la mobilità attiva è la capacità di una regione di essere preferibile come luogo di cura.

[8] Redazione, San Gavino, il pronto soccorso dell'ospedale a rischio chiusura? "Se ne vanno 4 medici", YouTG.NET, 3 novembre 2023, https://www.youtg.net/

[10] Redazione, Pronto soccorso di San Gavino. "Soluzioni di emergenza per breve tempo", Sardegna Live, 16 novembre 2023, https://www.sardegnalive.net

[11] Elisa Campisi, Sardegna, lettera choc al paziente oncologico: «Sei mesi di attesa per la radioterapia, deve uscire dalla Regione», Corriere della Sera, 5 settembre 2023, https://www.corriere.it/cronache/

[12] Francesco Carta, La crisi della sanità in Sardegna supera le più pessimistiche previsioni, Quotidiano Sanità, 7 marzo 2023, https://www.quotidianosanita.it/


Fonte tabelle: Portale statistico AGENAS, https://stat.agenas.it

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