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  • Paolo Falqui

Chi se non Barbie e Ken potevano mettere a nudo la società?


Provare a scrivere un articolo sul film “Barbie” è complicato, se non altro per la grande quantità di cose che sono state scritte prima e dopo la sua uscita. Una delle pellicole più attese dell’anno, sia per gli attori coinvolti sia per la popolarità del personaggio, si è trasformata in una valanga di opinioni e polemiche dopo il suo debutto, e non per caso. Ho visto il film solo da poco, dopo essere stato incuriosito da diversi articoli che ne parlavano nei modi più disparati. E devo dire che personalmente sono state due ore della mia vita nelle quali ho riso, pensato e la mia faccia si è trasformata in una maschera con gli occhi sbarrati e la bocca aperta per la maggior parte del tempo, superando tutte le mie più rosee aspettative.


Femminismo e satira

Citazioni della storia del cinema (dal monolite di “2001: Odissea nello Spazio” alle pillole di “Matrix”) e della storia della bambola stessa (inclusi flop commerciali) sono incastonate in una trama che scorre in modo classico e riconoscibile ma che tratta un argomento spinoso come la contrapposizione tra patriarcato e femminismo con uno humor pungente ed aggressivo, ben oltre il limite del politicamente corretto, che rende il film fresco e in certo modo disturbante. Da qui nascono le polemiche, dalla secolarizzazione di questioni molto importanti e divisive nella società moderna trattate alla stregua dell’imitazione di un politico, in un contesto assurdo che rende possibile ai personaggi portare all’estremo qualsiasi situazione. Una satira spietata che non risparmia, con una certa dose di autoironia, neanche la Mattel stessa, i cui dirigenti nel film (tutti uomini) rappresentano l’archetipo di potere patriarcale e che si spendono in giustificazioni paternalistiche che vengono ridicolizzate costantemente, nonostante non siano nulla che non abbiamo sentito dire da qualche dirigente “illuminato”. Il tono dissacrante, ai limiti dell’offensivo, è la vera scommessa vinta del film, perché ne fa un prodotto intelligente, alternando sapientemente momenti profondi e momenti leggeri, nonché un generatore automatico di frasi iconiche (“quando ho capito che il patriarcato non aveva niente a che fare con i cavalli ho perso l’interesse” per esempio), meme e polemiche che non fanno altro che alimentarne la popolarità.


Critiche e marketing

Il film ha ricevuto complessivamente pareri positivi dalla critica, nonostante da più parti sia stato messo in evidenza l’aspetto pubblicitario. [1] In effetti, data anche la partecipazione della Mattel nella produzione, si percepisce durante tutto il film l’intento di lavare l’immagine della bambola più famosa e criticata del mondo. Spesso considerata dannosa come esempio di ideali irrealistici riguardo al corpo femminile, la Barbie viene riposizionata al passo coi tempi con il film, in un’operazione che si potrebbe chiamare di diversity-washing (mutuato da termini come greenwashing o blackwashing) [2]: all'interno del mondo parallelo di Barbie vi sono una quantità di Barbie e Ken diversi per etnia e conformazione fisica che sovradimensionano il reale impatto delle versioni non stereotipate dei due giocattoli; è un’operazione che lascia intravedere durante tutto il film un velato “senso di colpa” della Mattel, reso esplicito dallo shock che accompagna la protagonista nello scoprire che nel mondo reale la Barbie non è stata un’ispirazione per le donne bensì tutto il contrario. Tuttavia, c’è da considerare che nonostante la funzione di “redenzione” del film sia sotto gli occhi dello spettatore, il risultato è ben superiore a una campagna di marketing travestita da opera cinematografica: non è superficiale, è ben costruito e sa arrivare alla coscienza in una forma invasiva ma divertente.


Chi se non Barbie?

Che una bambola stereotipata faccia ironia sul sistema che esprime potrebbe fare storcere il naso a molti. E invece Barbie è proprio il personaggio perfetto per esporre contraddizioni e storture della società e dei suoi sistemi di genere. Fin da quando è stata commercializzata con un costume da bagno a righe in stile pin-up nel 1959, la Barbie si è evoluta raccontando i cambiamenti della società, e questo film non è che un nuovo passo in avanti. Con l’accesso delle donne al lavoro in maniera massiccia abbiamo dunque visto la comparsa di bambole che svolgono i più svariati mestieri e in tempi recenti con la nuova sensibilità in tema di rappresentazione della diversità abbiamo visto Barbie cambiare colore di pelle, corporatura, etnia fino a rappresentare persone diversamente abili. Potremmo quasi dire che la trasformazione della Barbie e la varietà delle sue versioni sia un indice della cultura e della società contemporanea: un indice Barbie che sta allo studio della società come l’indice Big Mac sta allo studio dell’economia. [3]


Chi se non Ken?

Il percorso del personaggio di Ken personalmente mi è sembrato persino più significativo rispetto a quello della protagonista, sorretto da un’interpretazione semplicemente clamorosa di Ryan Gosling. L’esagerato contesto del film è il tappeto perfetto affinché l’uomo accessorio per eccellenza possa decostruire la maschilità patriarcale con una incisività sorprendente. Tutto ciò che dice e tutto ciò che fa trasmette l’inconsistenza delle sue pretese di patriarcato, sistema che scopre nel mondo reale e che non capisce se non nei suoi aspetti superficiali, come d’altronde larga parte della popolazione mondiale che nega l’esistenza di esso. La base della sua improvvisa passione per il sistema sociale patriarcale nasce da una mancanza di importanza, dalla sensazione di essere inutile, dalle sue stese insicurezze. Il personaggio di Ken non è quindi il banale rovesciamento del ruolo di genere maschile, ma ne è la sua versione embrionale, quasi alla ricerca dell’origine del sistema patriarcale: l’uomo che aderisce al sistema spinto dalla paura di risultare irrilevante e che lo difende perché fornisce senso alla sua esperienza vitale. Con l’istituzione del patriarcato in Barbieland, i Ken provano dunque a definirsi come qualcosa in più rispetto a semplici accompagnatori delle varie Barbie, ma gli stessi stereotipi maschili sono la causa della loro sconfitta, perdendosi in una battaglia tra di loro per gelosia. Il riconoscimento finale della loro identità e specificità semplicemente come loro stessi e non in funzione né di Barbie né di un sistema sociale, pur risultando a mio parere un po’ forzata, diventa l’insegnamento principe per tutti gli uomini che ignorano i condizionamenti sociali a cui sono sottoposti ogni giorno.


Conclusioni

Se lo vogliamo vedere come un’opera intellettuale probabilmente ci sono dei difetti, qualcosa che magari è stato trattato in modo più superficiale o approssimativo. Se lo vogliamo vedere come una commedia compie il suo dovere in modo intelligente e coinvolgente, pur dipendendo dalla soggettività di ciascuno visto il tipo controverso di umorismo utilizzato. Se lo vogliamo vedere come una campagna di marketing sicuramente poteva andare molto peggio, avremmo potuto assistere a una marchetta dal successo al botteghino assicurato ma poco interessante. Indubbiamente, proprio per la sua capacità di essere letto su diversi livelli ci troviamo davanti a quello che rimarrà come un’icona pop di quest’epoca, un prodotto che personalmente mi ha lasciato con la voglia di rivederlo per coglierne tutte le sfumature oltre le battute comiche graffianti e l’apologia del rosa.


Quanto espresso in questo articolo è basato sulle opinioni dell'articolista che non necessariamente riflettono la linea editoriale di TocToc Sardegna


Fonti:

[1] Redazione, E quindi cosa si dice di “Barbie”, Il Post, 21 luglio 2023, https://www.ilpost.it/2023/07/21/recensioni-barbie/

[2] Deep Dive on Diversity Washing in ESG, TodayESG, www.todayesg.com

[3] Enrique Valls, Big Mac Index: cos’è e come funziona?, Rankia, 21 settembre 2022, https://rankia.it/come-investire/big-mac-index-cose-come-funziona/


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