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  • Davide Casula

Rivoluzione Facebook: il caso egiziano del 2011


L’avvento delle nuove tecnologie, come per esempio Internet ed i social network, hanno cambiato la nostra vita rendendo più facile l’interconnessione tra le diverse persone sparse nel mondo, la circolazione di idee e di informazioni. Sotto tale aspetto, in particolar modo i social media hanno giocato un ruolo chiave durante le varie fasi della rivolta egiziana, donando un’arma molto potente agli oppositori di Mubarak.


In tal senso servirebbe risalire ai primi anni 2000 ovvero a quando la connessione internet iniziò a diventare maggiormente accessibile alla popolazione nel momento in cui il governo egiziano sovvenzionò l’acquisto di computer e ad altri accessori, concedendo anche dei prezzi più vantaggiosi circa la connessione alla rete.

Se da una parte l’uso di questo grande strumento iniziò ad aumentare, dall’altra gli oppositori al regime ne sfruttarono appieno tutto il suo potenziale. Infatti, viste le forti restrizioni imposte alla popolazione, che limitavano il godimento di vari diritti, si andò a costituire una sorta di mondo parallelo all’interno della rete, dove le persone poterono esprimere al meglio, e soprattutto liberamente, le proprie idee, si instaurarono forti discussioni circa le sorti dell’Egitto ed in particolar modo forti critiche nei confronti di Hosni Mubarak.


A partire dal 2005 iniziarono ad affermarsi prepotentemente vari blog che racchiudevano in gran parte l’ostilità dei civili nei confronti del governo, capaci di creare una sfera pubblica alternativa, aperta a qualsiasi tipo di dibattito. E proprio con le nuove figure dei blogger l’autorità di Mubarak iniziò a perdere qualche colpo dinanzi a causa dell’apparizione di soggetti che attraverso le proprie pagine web screditarono pesantemente il regime. Inoltre, i blogger egiziani assunsero un ruolo guida nel Mondo Arabo pubblicando rapporti sulla ferocia con cui operava la polizia, suscitando grande clamore a livello internazionale. [1]

Alcuni di questi blogger, visto il grande seguito ottenuto, furono posti agli arresti dai militari con l’accusa di aver criticato le varie iniziative del Presidente Mubarak.

Gli stessi partiti di opposizione usufruirono di tali mezzi per poter informare i propri membri attraverso la propria pagina online; alcuni esempi sono la Fratellanza Musulmana oppure la rivista al-Arabi del Partito arabo democratico nasserista.


Le piattaforme come Facebook, Twitter e YouTube diventarono uno strumento di vitale importanza per la popolazione che attraverso questi nuovi mezzi era in grado di denunciare gli atti illeciti compiuti dalle forze del regime, attraverso il caricamento online di immagini oppure video integrali che riportavano tali fatti.

Anche i nascenti movimenti giovanili di protesta capirono il potenziale che la rete ed i social media avrebbero potuto ricoprire nell’organizzazione della protesta, servendosi di questi ultimi per indirizzare e raccogliere il malcontento della gente. Non è dunque un caso il fatto che alcuni di questi movimenti possedessero delle pagine online; per esempio il Movimento per il cambiamento noto come Kifaya deteneva un proprio sito web dove rilasciava locandine riguardanti alcuni cortei oppure sit-in con le informazioni circa il luogo e l’orario; oppure il Movimento 6 Aprile o il gruppo “We are all Khaled Said” nati entrambi sulla piattaforma Facebook che furono in grado di ottenere in poco tempo un ottimo seguito sui social.

Ed è proprio attraverso Facebook, che la popolazione fu chiamata a raccolta per il 25 gennaio 2011, da parte di questi tre movimenti, capaci di mobilitare il maggior numero di persone e di ottenere un gran risultato vista la risposta eccezionale da parte dei cittadini. Mentre Piazza Tahrir fu letteralmente presa d’assalto dai dimostranti, sui vari siti internet e social media emersero altri appelli nei confronti di coloro che non avevano ancora preso parte alle manifestazioni.

Ed in pochissimo tempo su Twitter spopolarono numerosi hashtag riguardanti gli eventi di Piazza Tahrir; si conta che su un totale di 9.071 hashtag creati durante la rivoluzione egiziana i più utilizzati risultarono essere #Egypt, #Jan25, #Tahrir, #Mubarak. [2]


Il regime durante il gennaio 2011 capì tardivamente l’impatto di Internet nella rivolta, e tentò di impedire le nuove manifestazioni indette per il 28 gennaio 2011, il cosiddetto “Venerdì della collera”, bloccando la rete mobile in tutto il Paese con lo scopo di tagliare qualsiasi contatto tra i dimostranti. Nonostante tale misura il 28 gennaio le persone si recarono in gran massa ad occupare le varie piazze egiziane. Solo in un secondo momento i servizi segreti egiziani cominciarono ad utilizzare i vari social network per ostacolare sul nascere l’organizzazione di cortei, con l’obiettivo di individuare ed arrestare gli ideatori delle varie iniziative.


Internet ed i social media hanno svolto un ruolo importantissimo nelle differenti fasi della rivolta: attraverso questi ultimi è stata possibile una miglior organizzazione degli eventi, delle azioni studiate a tavolino dai gruppi; hanno permesso una maggiore vicinanza tra i manifestanti; hanno reso partecipe qualsiasi persona che abbia condiviso un post critico nei confronti del regime o che abbia denunciato attraverso video oppure immagini le violenze poste in atto dalla polizia e non solo.

Infine, non è un caso il fatto che si parli di “Rivoluzione 2.0” oppure “Rivoluzione Facebook”, ad enfatizzare l’importanza dei social network nel rovesciamento del regime Mubarak.


Fonte: [1] A. Hofheinz, Nextopia? Beyond Revolution 2.0, 2011

[2] O. Oh, C. Eom, H. R. Rao, Role of Social Media in Social Change: An Analysis of Collective Sense Making During the 2011 Egypt Revolution, 2015


Foto copertina: Un manifestante sventola la bandiera egiziana (Fonte: Wikipedia)

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