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  • Lorena Deiana

Sessant’anni dalla morte di Kennedy: si può ancora definire un mito?


“Ask not what your country can do for you; ask what you can do for your country”. [1]

Con questa celebre frase, John Fitzgerald Kennedy, 35° presidente degli Stati Uniti, si insediava alla Casa Bianca, il 20 gennaio 1961. La sua politica si riallacciava a quella wilsoniana e roosveltiana: i due ex presidenti, protagonisti indiscussi di entrambe le guerre mondiali, avevano portato gli Stati Uniti al trionfo e le loro politiche avevano riscosso notevolmente successo. Le premesse sembravano buone, ma il suo mandato presidenziale non durerà a lungo: il presidente muore improvvisamente a causa di un colpo di pistola alla testa il 22 novembre 1961. Il mandato di Kennedy è stato breve, ma ricco di importanti avvenimenti che hanno fatto sia apprezzare la figura del presidente, che discutere. Sono passati sessant’anni dalla sua morte inaspettata: si può ancora parlare di mito di Kennedy? Prima di rispondere, è necessario ripercorrere i punti salienti della sua carriera politica.                                                                                  

John Fitzgerald Kennedy nasce nel 1917 a Brooklyn figlio di Joseph Kennedy, presidente della Commissione Borsa e Finanze di Wall Street. Dopo aver intrapreso e approfondito gli studi politici, decide di arruolarsi come volontario in marina durante il secondo conflitto mondiale. Nel corso del proprio servizio, la sua colonna vertebrale, già lesa da una frattura subita sei anni prima in un incidente di football a Harvard, peggiora a causa degli eccessivi sforzi, così viene congedato: Kennedy decide allora di intraprendere la carriera politica. Dopo una lunga militanza nel Partito Democratico come deputato e, successivamente, come senatore, nel novembre del 1960, in vista della scadenza del secondo mandato di Eisenhower, Kennedy viene candidato alla presidenza. A settembre e ottobre dello stesso anno, JFK si confronta con il candidato repubblicano alla presidenza Richard Nixon, nel primo dibattito presidenziale mai trasmesso alla televisione: importante e rivoluzionario punto di svolta nella comunicazione politica. [2]                                                              

Kennedy vive gli anni della segregazione razziale istituzionalizzata: la discriminazione razziale nelle scuole era stata vietata nel 1954 dalla Corte Suprema, divieto che non veniva rispettato, in particolar modo negli stati del Sud. Prima delle elezioni presidenziali si avvicina alla moglie di Martin Luther King guadagnandosi l’approvazione della popolazione nera che vedeva in lui una nuova speranza. I bianchi del Sud, palesemente irritati da questo avvicinamento, tentarono di ostacolare il passaggio delle leggi sui diritti civili attraverso il Congresso dominato dai democratici del sud. La figura di Kennedy subì uno scossone: venne accusato di non dare sostegno ai diritti civili ma di strumentalizzarli in chiave meramente elettorale. Nonostante queste accuse, il sogno di Kennedy era lampante: l'intenzione era quella di riportare gli Stati Uniti l'America verso la salvaguardia dei diritti civili. A riprova di ciò il suo impegno nell'Alleanza per il Progresso e il Peace Corps. [3]


Il suo lavoro non era diretto al solo territorio statunitense ma anche a livello internazionale. Celebre è il suo incontro con Nikita Kruscev, leader dell'Urss, per discutere della questione di Berlino Ovest, incontro che sfociò in un drammatico epilogo: l’innalzamento del muro di Berlino. Lo scontro peggiore tra le due potenze ebbe però come scenario Cuba: la storica invasione della Baia dei Porci, in cui gli esuli cubani, armati e addestrati dagli Stati Uniti, non riuscirono a rovesciare il regime di Fidel Castro. La crisi dei missili cubani nel 1962 ha portato il mondo sull'orlo di una guerra nucleare, evitata grazie alla scoperta di missili sovietici a Cuba, e del conseguente blocco imposto da Kennedy. Dopo la crisi di Cuba, Kennedy ha dichiarato un interesse comune nel fermare la diffusione delle armi nucleari e rallentare la corsa agli armamenti. Questo impegno si è concretizzato nel Trattato di divieto totale delle prove nucleari del 1963, un passo significativo verso il disarmo internazionale.  Riguardo alla guerra del Vietnam, durante la sua Presidenza, a seguito di continue minacce all'indipendenza dello stato meridionale, Kennedy incrementò il numero di consiglieri militari, facendoli passare da poche centinaia fino a 16.000.


Oltre gli impegni politico-diplomatici, indubbiamente uno dei suoi maggiori successi, fu quello riguardante il programma spaziale: Kennedy chiese al Congresso di finanziare il Programma Apollo con lo scopo di portare un uomo statunitense sulla Luna entro la fine del decennio. «Abbiamo scelto di andare sulla Luna e di fare altre cose, non perché sono facili, ma perché sono difficili», disse Kennedy. Nel 1969, sei anni dopo la sua morte questo obiettivo fu infatti raggiunto. [2] [4]  


L'assassinio di JFK venne commesso venerdì 22 novembre 1963 a Dallas. Mentre viaggiava con la moglie Jacqueline, con il governatore John Connally (ferito gravemente) e la moglie di quest'ultimo Nellie a bordo della limousine presidenziale, Kennedy fu ferito mortalmente nella Dealey Plaza da colpi di fucile sparati dal magazziniereattivista castrista ed ex marine Lee Harvey Oswald. [2] Nel 1979 l'United States House Select Committee on Assassinations (Commissione scelta della Camera dei Deputati sui casi di assassinio) ha concluso che, sebbene Oswald fosse il probabile esecutore materiale, l'assassinio del presidente potrebbe essere stato frutto di un complotto, pur non riuscendo a identificare le persone o organizzazioni che ne sarebbero state coinvolte. [5]


Il suo mandato, inizialmente oggetto di grande ammirazione, col tempo sembra stia perdendo consensi: un articolo del New York Times [6] del 10 novembre 2013 riporta che “Gli studenti odierni che imparano del Presidente John F. Kennedy non stanno conoscendo il J.F.K. dei loro nonni. In generale, l'immagine è passata da un giovane presidente carismatico che ispirava giovani in tutto il mondo a uno profondamente difettoso, il cui discorso superava i suoi successi. La prevenzione della guerra nella crisi dei missili cubani riceve meno attenzione e rispetto ai fallimenti legislativi e un impegno sempre più profondo in Vietnam. Oggi si considera come il vero lascito di Kennedy "una enorme espansione militare che spinse i russi a un'accelerata corsa agli armamenti". 

Nel 2009, il libro "American Journey" di Joyce Appleby affermò della crisi dei missili: "mentre sembrava una vittoria all'epoca, lasciò intatto un governo comunista a poche miglia dalle coste degli Stati Uniti. L'umiliazione di cedere spinse anche i sovietici a iniziare la più grande espansione militare in tempo di pace della storia".


Una recente classifica del 2018 di APSA [8] vede Kennedy in un sondaggio di gradimenti presidenziali al quindicesimo posto, più basso rispetto alle classifiche precedenti. Si potrebbe ipotizzare che il suo iniziale alto indice di gradimento fosse dovuto alla sua tragica e precoce morte, che ha portato a eroicizzare la sua figura. Il mito di Kennedy sembra si stia dunque ridimensionando, le sue scelte che prima venivano viste come ammirevoli ora vengono criticate, soprattutto in relazione alla diplomazia internazionale successiva.                                                        

Non si può prevedere se la sua discesa continuerà, ma si può affermare che col tempo è avvenuta una diminuzione della sua popolarità e il mito dell’eroe Kennedy sembra allontanarsi sempre di più dalla realtà.


Fonti:

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